domenica 27 gennaio 2019

Murambi, il memoriale del genocidio

domenica 27 gennaio 2019 - Smile Mission

Oggi siamo in “visita” a un luogo che legarlo all’aggettivo ”impressionante” sembra l’unica parola che ben definisca quanto qui è avvenuto e che segna la storia del Rwanda, come momento orrendo, da dimenticare per il futuro di questa povera, ma bellissima terra.






Da “Rwanda, istruzioni per un genocidio” di Daniele Scaglione 

Il centro del mondo  - La collina di Murambi si trova non lontano dalla città universitaria di Butare. La sua cima è un altipiano. Ruotando di 360 gradi ci si trova sempre di fronte un orizzonte spettacolare, fatto di alte colline verdissime. Lo spiazzo è occupato da una serie di basse costruzioni a un piano, alcune composte da ampi stanzoni destinati a diventare refettori o forse anche dormitori, altre suddivise in varie stanze più piccole, che nei piani dovevano fungere da aule. Le prime costruzioni che si incontrano sono vuote e senza finestre. Le successive, invece, al posto dei vetri hanno teli color alluminio, a tenuta d’acqua, e al loro interno vi sono delle panche, sulle quali sono stati sistemati dei corpi. L’8 aprile 1994 diverse persone cominciarono a rifugiarsi nella parrocchia di Gikongoro. Il 16 aprile, quando erano diventate tantissime, le autorità le convinsero ad andare a Murambi, nella scuola in costruzione. Per proteggerle, gli assegnarono solo quattro gendarmi che, in ogni caso, il giorno dopo erano già scomparsi. Il 18 aprile vi fu il primo attacco. I rifugiati si difesero lanciando pietre, ma quando nella notte tra il 20 e il 21aprile, i miliziani arrivarono accompagnati dall’esercito, i sassi non bastarono più. I morti furono almeno 40.000. Il giorno dopo gli assassini tornarono con i trattori, per seppellire le vittime sotto pochi centimetri di terra. Alla fine della guerra vengono dissotterrate almeno ventimila persone: per la maggiore parte finiscono in grandi tombe, in minima percentuale – ma in gran numero assoluto – vengono esposti nelle aule. Corpi che forse si potrebbero chiamare “mummie”, per come sono conservati. La terra argillosa in cui sono stati sepolti ha fermato la loro decomposizione iniziale. Poi, anni dopo, è stata aggiunta della calce, per cui sono diventati bianchi. Sono corpi di uomini, donne, bambini su cui talvolta si scorge anche la causa della morte. Il segno dello sgozzamento, il cranio fratturato, un foro di proiettile. Si vede il terrore: le bocche spalancate, le braccia a proteggere la testa, le mani che non ci sono più perché sono state tagliate mentre cercavano di parare il colpo del machete.

Una giornalista francese osserva che l’esposizione di cadaveri non è nella tradizione africana. «Neanche il genocidio è nella tradizione africana – replica un rappresentante della commissione per il memoriale del genocidio –. Vogliamo stroncare ogni velleità di ripeterlo». Davvero hanno questo potere, quei corpi? Possono aiutare a scongiurare il ripetersi di un genocidio? Certo non dovrebbero vederli solo i rwandesi: a Murambi dovrebbero andarci soprattutto gli occidentali. Dovrebbero andarci i francesi, i belgi, gli italiani, gli americani, i cui soldati sono corsi a Kigali, appena ucciso Habyarimana, per espatriare esclusivamente i loro compatrioti, i “bianchi”. Dovrebbero venire adesso, a vedere i “corpi bianchi” sui banchi di questa scuola in costruzione. Murambi è uno dei posti più impressionanti dove ci si possa recare, in Rwanda e nel mondo, ma forse non per quella infinita sfilata di esseri umani martoriati. Quello che devasta il visitatore è il contrasto tra quell’angolo di paradiso e l’inferno che l’ha posseduto. Murambi è il centro del mondo, perché riassume nello spazio di poche centinaia di metri la massima meraviglia e l’orrore più tremendo, il baratro più profondo tra il “mai più” tante volte dichiarato e la peggiore delle violenze.

Nessun commento:

Posta un commento