sabato 5 dicembre 2009

Milano e Steve McCurry





sabato 5 dicembre 2009 - Sensi e Sensazioni

Steve McCurry, il grande fotografo, quello della ragazza afgana in copertina del National Geographic, l’ho ammirato al Palazzo della Ragione in una bellissima mostra dal titolo “Che colore ha il silenzio?”.
Qual è la luce di uno scenario di guerra? Che volto ha la vita dove tutt’intorno è povertà e violenza? C’è “bellezza” sull’abisso del dolore? Un viaggio a Sud-Est seguendo tracce di “vita, colore, luce”. Steve McCurry usa queste tre parole per raccontare un instancabile cammino nel mondo in compagnia della sua macchina fotografica.
Tutto scorre in modo fluido e straniante al tempo stesso, proprio come la vita. Come le cose del mondo che si susseguono, macinando contraddizioni, improvvisi bagliori, quiete e tenebre deliranti.

venerdì 4 dicembre 2009

...a Adriana

venerdi 4 dicembre 2009
La Croce in aula

Cara Adriana,
oggi mi va di parlare sul tema del “Crocifisso nelle scuole” e mi va di parlarne con te perché confido nella tua comprensione, se non nella condivisione.
Stravolgo lo schema fisso, partendo dalla conclusione che mi prefiggo per farti subito capire come vedo il problema.
Perché non lasciare che in Italia, in quanto paese laico, nelle classi, gli studenti che lo vogliono, possano appendere il Crocifisso, e gli altri loro compagni, che credono in un altro Dio, possano mettere accanto a Cristo un loro simbolo?
Sarebbe questa l’Italia che vorrei: l’Italia della fratellanza.
Ma veniamo allo svolgimento: prendo parole in prestito da altri che meglio di me sanno presentarle e farle diventare momento di riflessione.
La Lega Nord sta cavalcando politicamente, con la raccolta di firme, l’ingenuità del popolo. A Caldiero e in tanti altri paesi é stato imposto ai sindaci di farsi garanti dell’appensione del Crocifisso, mettendoli tutti di fronte a delle responsabilità dichiarate a voce, ma che poi non trovano quel sostegno che la coerenza imporrebbe su un tema che non è, e non deve essere bandiera politica di alcuno, ma sentimento interiore che va rispettato da tutti, e che, ora più che mai, deve ritrovare la forza e la verità per essere testimonianza coraggiosa .
Per quanto mi riguarda, il Crocifisso dovrebbe restare appeso nelle scuole; ma non per le penose ragioni accampate dai politici di destra, di centro, o di sinistra, ma nemmeno per gli interventi del Vaticano.
Gesù è un fatto storico e una persona reale, morta ammazzata dopo indicibili torture, pur potendosi agevolmente salvare davanti a Pilato o a Caifa, con qualche scusa politichese.
Cristo é, da duemila anni, l’immagine vivente di libertà e umanità, di sofferenza e speranza, di resistenza inerme all’ingiustizia, ma soprattutto di laicità (“Date a Cesare quel ch’è di Cesare e a Dio quel ch’è di Dio”) e di gratuità (“Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”). Sia per chi crede alla resurrezione, sia per chi si ferma all’uomo crocifisso.
Gesù Cristo è riconosciuto come Dio dai cristiani, ma come grande profeta, anche dagli ebrei e dai musulmani.
È significativo che oggi nessun politico né la Chiesa riesca a trovare le parole giuste per raccontare semplicemente la sua figura. Eppure Natalia Ginzburg, ebrea e atea, negli anni Ottanta scrisse: “Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. È l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea, fino allora assente, dell’uguaglianza fra gli uomini. Perché mai dovrebbero sentirsene offesi gli scolari ebrei? Cristo non era forse un ebreo e un perseguitato morto nel martirio come milioni di ebrei nei lager? Nessuno prima di Lui aveva mai detto che gli uomini sono tutti uguali e fratelli. Credo che sarebbe un bene che i bambini e i ragazzi lo sapessero fin dai banchi di scuola”.
Basterebbe raccontarlo a tanti ignorantissimi genitori, insegnanti, ragazzi: e nessuno – ateo, cristiano, islamico, ebreo, buddista che sia - si sentirebbe minimamente offeso dal crocifisso.
Aiutami ad aprire qualche testa in più; tutti abbiamo il diritto di credere, ma tutti siamo liberi di credere in ciò che vogliamo. L’importante é che la nostra libertà finisca dove inizia quella del nostro prossimo.
Ciao Adri, considerami sempre un amico e anche qualcosa di più. Valter


martedì 1 dicembre 2009

...a Giorgio

martedi 1 dicembre 2009
De Senectutis


Caro Giorgio, domenica 8 novembre, in quella stupenda rimpatriata e dopo l’inno ai miei sessant’anni tributato da amici carissimi, ci eravamo trovati a dissertare sulla nostra età e sulla vecchiaia che avanza, ma, giustamente interrotti dal nostro dovere di ospiti, abbiamo lasciato in sospeso il filo logico del nostro discorso e forse anche il pensiero più profondo sul futuro che avanza (nel senso che ci resta). Mi piacerebbe riprenderlo con queste brevi righe, perché forse potrebbe diventare l’incipit per un mio lavoro più importante, (almeno per me) e che assolutamente ha bisogno anche del tuo apporto.
Considerati quindi ingaggiato.

Dobbiamo prestare più attenzione alla nostra vecchiaia. A caratterizzare quest’età non é la tristezza o la certezza di esserci giocato quasi tutto, ma quella sottile noia che ci fa constatare che, per quante novità succedano, scopriamo che non son altro che una nuova formulazione di qualcosa di già visto.
Abbiamo imparato che la saggezza, che di solito si attribuisce a chi ha una certa età, é solo la somma delle esperienze che abbiamo fatto e che non possiamo trasmettere, perché l’esperienza degli altri non serve a nessuno, tanto meno ai giovani che devono fare la propria.
Solo una generazione fa, il sessantenne veniva considerato depositario del sapere e dell’esperienza. Oggi internet spiazza la saggezza senile che diventa superflua e noi saremo inutili al punto che la nostra sopravvivenza verrà affidata alla misericordia sociale e a quegli impeti di benevolenza riservati ai panda o alle foche monache. E così per essere accettati dobbiamo pensare di diventare equilibrati, ponderati, prudenti, dolci, pieni di quelle virtù di cui sono dispensati i giovani; dobbiamo far tacere il nostro desiderio sessuale che ancora pulsa, rinunciare ai contatti corporei, essere allegri, ma con misura, partecipare alla vita familiare e sociale senza pretendere di essere ascoltati, essere in pratica autonomi e indipendenti, due maniere per tradurre la parola “soli”.
E allora dal mondo esterno ci ritiriamo in quello interiore. Le nostre abitudini ci rassicurano , ma nello stesso tempo ci incatenano. I gesti creativi ci appaiono per quel che sono: riprese di antiche e trascorse suggestioni. Sappiamo che ormai il più é passato e l’ineluttabile destino ci aspetta.
Per salvarci però dalla depressione senile dobbiamo distogliere l’attenzione, dobbiamo distrarci, puntare lo sguardo in altre direzioni: chi con il cinismo della fredda razionalità, chi con la fede in una vita oltre la morte, chi con la creazione di un mondo personale tutto suo, chi con la follia, senza regole o con regole diverse da quelle della ragione, chi con l’abbandono a passioni travolgenti, chi con la dedizione a idee forti quali l’amore, la solidarietà, l’arte, la scienza, nella speranza che assorbano tutto il nostro tempo e che ci permettano di agire, di gioire, di creare, di sognare, di sperare.
Dobbiamo distrarre la nostra condizione umana che, a differenza di quella animale, non é ignara dell’esistenza di un ultimo giorno.
Grazie a queste illusioni da trasformare ancora in progetti, possiamo sopravvivere.
Mettiamocela tutta! tuo Valter