sabato 26 gennaio 2019

Rwanda, la storia sino al “Genocidio”

sabato 26 gennaio 2019 - Smile Mission

I conflitti in Africa sono spesso visti e presentati come guerre tribali, che invece assumono aspetti complessi e talvolta incomprensibili. 

Gli Hutu e i Tutsi vivevano insieme in società feudali dalla struttura sofisticata, già da molto prima che i “colonizzatori” arrivassero in Africa. Il Rwanda, a partire dal XVI secolo, era un regno dalla struttura molto centralizzata, basato su una rigida divisione di ruoli tra gli allevatori-guerrieri tutsi e i coltivatori hutu. Una terza etnia, i Pigmei Twa, estremamente minoritaria, era relegata in una posizione di grande marginalità. Il sovrano era un tutsi ed esercitava un potere effettivo su una classe di capi, anche loro della stessa etnia.
Lingua, religione, tradizioni erano però le stesse, sia per gli hutu che per i tutsi. Senza grandi centri abitati, era in pratica un paese di agricoltori e allevatori, in cui l’unità amministrativa era la collina, non il villaggio.

Caduto in mano belga durante la prima guerra mondiale, il Rwanda fu poi affidato al Belgio stesso con un mandato della Società delle Nazioni e il sovrano scelse alla fine, di collaborare ufficialmente con i colonizzatori, anche se, dietro un’apparente sottomissione, si sviluppava una sotterranea resistenza passiva mascherata.

Inizialmente i belgi, con gli occhi rivolti allo sfruttamento del Congo, non sembrarono molto interessati allo sviluppo di questo piccolo regno e ritennero quindi utile mantenere la struttura politica esistente. L’aristocrazia tutsi, alleata ai colonialisti, poté quindi godere di un appoggio notevole per accrescere il proprio peso economico e politico.

I belgi cominciarono invece a studiare le due etnie da un punto di vista etnico-razziale, sulla scia delle concezioni scientifiche dell’epoca e questi studi e teorie ebbero, in seguito, un’enorme influenza sulle categorie mentali e politiche degli hutu e dei tutsi.

Piano piano l’idea che i tutsi fossero più importanti degli hutu, avallata da numerosi studiosi, che si affannarono a provare la “diversità”, sia razziale che culturale e comportamentale, fece sì che i tutsi vennero descritti dai colonizzatori come  capi naturali, con un grande talento politico, abili nel pensiero, alteri, con un’educazione tesa all’acquisizione di grande autocontrollo dei sentimenti.

Gli hutu vennero invece dipinti come popolazione naturalmente destinata a restare subordinata, agricoltori senza grandi ambizioni, sinceri e spontanei in modo infantile e facili al riso e alle esplosioni incontrollate. I pigmei twa, piccola minoranza, erano i più disprezzati.

Anche la chiesa ebbe un ruolo decisivo nel paese.
Dopo la seconda guerra mondiale molti missionari cattolici giunsero in Rwanda per un’opera di educazione rivolta alla grande maggioranza della popolazione che viveva ai margini. I capi tradizionali tutsi compresero molto in fretta il valore e l’importanza dell’istruzione. Ma i missionari, a contatto con i contadini hutu, sentono la loro situazione di esclusi e discriminati, all’interno del loro paese tanto che alcuni centri diocesani diventano veri e propri cenacoli del nascente fermento politico degli hutu.

Dal 1959 fino all’indipendenza, il Rwanda vive uno dei periodi più travagliati della sua storia, la cosiddetta «rivoluzione sociale», durante la quale gran parte dei tutsi è costretta all’esilio o uccisa negli scontri etnici che insanguinano il paese. 
La rivolta degli hutu inizialmente attacca alcuni dei più odiati feudatari tutsi, ma senza mettere in discussione la struttura monarchica della società. In un secondo tempo la situazione si complica: gruppi di tutsi organizzano azioni armate di disturbo, nel tentativo di reagire e conquistare uno spazio contro l’aperta ostilità dell’amministrazione belga. E’ un periodo difficile e di confusione, ma il risultato finale è la schiacciante vittoria degli hutu, la decadenza della monarchia con l’esilio del re e crescenti incursioni di gruppi armati di tutsi che partono dal Burundi e dalla Tanzania. 

Nasce la cosiddetta diaspora tutsi, in Uganda, Tanzania, Zaire (Congo). Per molti anni incursioni armate tutsi, a partire dai paesi vicini, provocano le violente reazioni degli hutu sui tutsi rimasti ancora in Rwanda, con decine di migliaia di vittime. 

Il 1°luglio 1962 il Rwanda raggiunge l’indipendenza, ma non è pace. Nel paese è in corso una vera e propria guerra civile; molti intellettuali e dirigenti tutsi vengono uccisi. Diviene presidente Grégoire Kaybanda, ideologo storico del Parmehutu. Appoggiato dal Belgio, cerca di dimenticare l’esistenza di circa 150 mila propri cittadini costretti a vivere da profughi nelle nazioni vicine. L’illusione che l’espulsione di una parte dei tutsi abbia risolto tutti i problemi del paese è però estremamente fragile, se non altro perché resta la paura di un loro ritorno. Kaybanda viene riconfermato presidente fino al 1973. Durante il suo mandato fiorisce la cooperazione con il Belgio e si manifesta un certo sviluppo delle aree rurali del paese.

Agli inizi degli anni Novanta nasce il Fronte patriottico ruandese (Fpr), un’organizzazione armata prevalentemente formata da tutsi esuli, ex combattenti in Uganda, che proprio da lì, nell’ottobre del 1993, iniziano le incursioni.
E’ presidente Habyarimana, che considera economicamente fondamentale l’aiuto francese di Mitterrand. Il presidente con il suo partito, lo Mrnd (Mouvement révolutionnaire national pour le développement), permette la creazione di altri partiti, ma contemporaneamente chiede il sostegno militare francese e zairese per fronteggiare l’Fpr. 
Quando gli altri partiti ruandesi gli muovono accuse di regionalismo e di favoritismo, lo Mrnd con in testa Habyarimana, scelgono di utilizzare ogni mezzo per riguadagnare popolarità e galvanizzare le masse contro il nemico comune tutsi. Nasce quindi l’Interhamwe, un movimento giovanile che, con i mezzi dello stato, fa proseliti, coinvolgendo anche i giovani estremisti hutu del Burundi. La causa hutu viene sentita come una causa giusta perchè rappresenta la volontà della maggioranza del popolo e sono tanti i giornali e i gruppi che si manifestano a favore di questa tendenza, chiamata hutu-power. 
Il conflitto ruandese è molto complesso. L’Fpr tutsi, sotto il comando di Kagame, evita attacchi frontali e inizia una guerra di logoramento. Si ha l’impressione che il presidente Habyarimana stia perdendo lentamente il controllo della situazione, che l’aiuto militare francese, scongiurato il pericolo iniziale, non sia in grado di sconfiggere la guerriglia Fpr che tra l’altro è appoggiata da truppe ugandesi e quindi ad Habyarimana non rimane che negoziare con l’Fpr i cosiddetti “Accordi di Arusha”.
Dall’aprile 1993 si inizia così un processo che ha come obiettivi la formazione di un governo di unità nazionale che comprenda l’Fpr, e la firma di un trattato di pace, supportato anche da molti leader hutu democratici, tra le accuse degli estremisti.

Ma il 6 aprile 1994, il presidente Habyarimana viene ucciso mentre è in volo sopra l’aeroporto di Kigali e subito dopo inizia quello che verrà chiamato il “Genocidio ruandese”, un piano ben determinato per l’eliminazione fisica non solo di tutti i tutsi, senza distinzione, ma anche di molti hutu moderati o non originari del Nord. Le vittime sono centinaia di migliaia in poche settimane; quasi un milione e mezzo di ruandesi si dirigono verso il Congo. La latitanza dell’Onu è totale e sconcertante, scatta anche l’operazione francese Turquoise, nel Sud-Ovest del Ruanda, per evitare un ennesimo e finale bagno di sangue.

L’Fpr occupa un paese quasi vuoto. L’intero esercito ruandese è oltre confine, tutti i beni dello Stato sono stati saccheggiati compresa la Banca nazionale, il numero dei morti è incalcolabilee il problema più grande sono i profughi in Congo.
Le forze armate ruandesi e le milizie non sono state distrutte, usano come scudo la popolazione che le ha seguite, e preparano la controffensiva.

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