venerdì 31 maggio 2013

“La fiammata dei Cinque Stelle” di Luca Ricolfi


venerdì 31 maggio 2013 - Pensieri e parole da condividere

Quando votano in pochi, come è successo alle recenti amministrative, c’è sempre il rischio di sovrainterpretare, di vedere nel voto più di quello che contiene. A me i segnali chiari sembrano solo due: gli elettori di sinistra che avevano votato Grillo stanno cominciando a tornare a casa, il movimento di Grillo ha subito un tracollo d’immagine. Gli italiani saranno pure ingovernabili, come pensava Mussolini e ora ripete il commissario europeo Günther Oettinger, ma non sono ciechi. 

Se per qualche motivo le cose precipitano, come è successo in vari passaggi della storia nazionale, può succedere che una parte dell’elettorato improvvisamente divenga pronta a votare una forza politica nuova, che promette un cambiamento radicale, o anche semplicemente rappresenta un modo d’essere diverso, una qualche rottura con il passato o con il presente. Ma altrettanto improvvisamente i medesimi elettori che hanno scommesso sul nuovo o sul diverso sono pronti a ritirare il loro consenso. Nella storia elettorale italiana degli ultimi 70 anni è già successo due volte, con il movimento dell’Uomo Qualunque (fra il 1946 e il 1948) e con la mai veramente nata Alleanza democratica, che subito prima della discesa in campo di Berlusconi era arrivata (nei sondaggi) a sfiorare il 20% dei consensi. Vedremo presto se il caso del Movimento Cinque Stelle somiglierà più a quello dei movimenti-fiammata (come Uomo Qualunque e Alleanza democratica), o a quello dei movimenti-incendio, che nascono all’improvviso ma durano nel tempo, come sono stati la Lega e Forza Italia.  

Personalmente propendo più per la prima ipotesi, quella di un raffreddamento del consenso al Movimento di Grillo, e questo non tanto per la batosta elettorale dei giorni scorsi, quanto per i comportamenti e gli equivoci che l’hanno preceduta e per molti versi preparata. 

Primo equivoco. Beppe Grillo pare non aver capito che la maggior parte degli elettori non sono né fanatici, né militanti. Sono sì disgustati dalla politica, vorrebbero sì mandare a casa una classe dirigente che li ha profondamente delusi, ma al tempo stesso vorrebbero che un governo ci fosse. E che fosse un governo decente. Non è evidente, o almeno non lo è ancora, o non lo è alla maggioranza dei cittadini, che il governo Letta-Alfano sia un governo indecente. Mentre è del tutto evidente che il Movimento Cinque Stelle ha ostacolato in ogni modo la nascita di un governo compatibile con il risultato elettorale. 

Secondo equivoco. Il Movimento Cinque Stelle pare non aver capito che molti elettori danno una notevole importanza a due virtù: la competenza e lo stile. Molti elettori (la maggioranza, a mio parere) non si accontentano affatto di essere governati da gente «semplice e onesta», ma vorrebbero anche che i politici che li rappresentano fossero competenti, esperti, e persino educati. Soprattutto quest’ultima cosa. Gli elettori possono anche perdonare la volgarità del capo, che può mascherarsi dietro l’alibi della satira, ma apprezzano molto di meno la volgarità dei sottoposti, sia quando si manifesta come amore per il vil denaro (vedi il surreale dibattito sugli scontrini e gli emolumenti dei parlamentari) sia quando si manifesta con le offese e il turpiloquio (giusto ieri le parole «merda» e «stronzo» erano al centro delle profonde riflessioni politiche di due grillini molto in vista, la capogruppo alla Camera Roberta Lombardi e l’uomo-streaming del movimento Salvo Mandarà; per non parlare delle offese di Grillo a Stefano Rodotà). 

Terzo (e fatale) equivoco. Il Movimento Cinque Stelle pare non aver compreso né la natura della Rete né la natura della democrazia. La Rete, che qui scrivo in maiuscolo perché qualcuno la considera una divinità, è uno strumento comodissimo e utilissimo (posta elettronica, Wikipedia, migliaia di servizi gratuiti, velocizzazione delle comunicazioni, ecc. ecc.), ma è anche fonte di innumerevoli effetti collaterali negativi. Grazie alla Rete può risultare più facile violare la privacy, umiliare le persone, indurre al suicidio un ragazzo o una ragazza, mettere in circolazione informazioni false o pericolose, truffare il prossimo, dare voce agli incompetenti, permettere l’espressione dei peggiori sentimenti, o anche semplicemente sottrarre tempo a chi potrebbe usarlo assai meglio. Il Movimento Cinque Stelle non solo deifica la Rete, ma sogna un mondo in cui tutti possano partecipare a un innumerevole insieme di decisioni grazie al voto elettronico. Un mondo in cui la democrazia diretta, che qualche volta ha funzionato in piccole comunità, trionfa sulla democrazia rappresentativa, inventata per governare comunità grandi e complesse. 

E’ una sciocchezza, se non altro perché la maggior parte di noi non vuole affatto mettere becco nell’innumerevole giungla di leggi e norme che vengono emanate ogni giorno da ogni sorta di consesso, ma preferirebbe potersi dedicare alle cose che ama con la serenità che deriva dal fatto di avere dei decenti rappresentanti in parlamento e nelle istituzioni. E’ a questo che serve la democrazia rappresentativa. Ed è questo il motivo per cui, nelle democrazie che funzionano, a votare vanno in pochi, non in molti: perché sanno che, chiunque vinca, non sarà una catastrofe. 

La Stampa, 31 maggio 2013

mercoledì 29 maggio 2013

Il rito del Caffè etiope


3 maggio 2013 - La rivelazione Amhara

Ad ogni angolo di strada e ad ogni ora della giornata, si possono incontrare rivendite improvvisate di caffè che per gli etiopi è una bevanda indispensabile e beneaugurante.


E la cerimonia del caffè, che viene preparato nel contempo, in un angolo della sala da pranzo, è anche il momento più suggestivo del pasto.





Su un fuoco di braci di carbone, né troppo forte né troppo debole, si tostano i chicchi di caffé crudo, dopo averne tolto le pellicine con un blando lavaggio. Dopo circa tre minuti di attento rimestaggio con un cucchiaio di legno, i chicchi cominciano a prendere una tostatura di color marrone chiaro. Altri 5 minuti e i chicchi iniziano a scoppiettare e a fumare. Tra i 6 e i 10 minuti, l’aroma del caffè inizia ad aleggiare per la stanza, i chicchi dal marrone passano al color nero ed è immediato il passaggio sulla piastra di raffreddamento. Eliminare i chicchi ancora leggermente crudi e quindi con il mortaio, pestare i rimanenti sino a trasformarli in polvere.
L’apposita caffettiera (Jebena) intanto avrà portato ad ebollizione l’acqua, pronta a ricevere la polvere di caffè.
Versare una quantità di polvere quanto basta e far riprendere il bollore per altri 4-5 minuti sul fuoco. Inclinare la caffettiera in modo che la polvere si depositi su di un angolo del fondo e dopo alcuni minuti versare agli ospiti quel nettare nero, leggero e fruttato.
La cerimonia completa prevede tre giri di caffè ed è accompagnata dal profumo di un particolare incenso di resina estratta da alberelli della famiglia delle Burseraceae (la famosa mirra) con un aroma unico ed avvolgente.








Tomoca
E’ un glorioso locale italiano della Piazza che vi guiderà al suo interno, complice il profumo che si espande in tutto il vicinato. Qui si serve il miglior caffè di tutta Addis Ababa e degustarlo immersi nell’atmosfera dei gloriosi e splendidi anni ‘20, affascinati dal via vai delle più svariate figure e personaggi locali e farsi certamente coinvolgere nell’acquisto di confezioni del prodotto macinato, che senz’altro, bevuto a casa, non avrà più il fascino di quel momento.






Le cafè caresse la gorge et met alors tout en mouvement: les idées se precipitent tels les bataillons d’une grande armée sur le champ de bataille. 
Honoré de Balzac


venerdì 24 maggio 2013

Addis Ababa - Itegue Taitu Hotel


24 aprile 2013 - La rivelazione Amhara

La guida lo classifica e presenta così: Prezzi economici, tenete gli occhi ben aperti e guardatevi dagli individui dall’aria poco rassicurante; nei pressi si ritrovano procacciatori, bagarini, tipi strani e poveri diavoli.

Praticamente in centro città, costruito per volere dell’imperatrice Taitu nel 1907, è l’albergo più vecchio della capitale: l’edificio principale è praticamente un pezzo da museo traboccante di mobili d’antiquariato. Potrebbe essere bellissimo se solo la manutenzione non si fosse fermata all’anno di costruzione. Tutto vero!

Quando abbiamo preparato il viaggio, non abbiamo avuto alcun dubbio: era l’hotel perfetto per noi. E così si è dimostrato! Tanto da restarci due notti all’arrivo e prenotato poi le ultime due prima del rientro in Italia. 
La camera suite a tre letti, con bagno (290 birr, circa 12 euro), una cena Vegana (70 birr, circa 3 euro) e un mondo di personaggi caratteristici, con cui condividere la breve avventura.





Taitù Batùl
Sole, Luce di Etiopia, più nota in Italia come Regina Taitù (circa 1849 - 11 febbraio 1918), dopo quattro matrimoni falliti, sposò re Menelik di Scioa, più tardi imperatore Menelik II d'Etiopia.
Taitù, ebbe un notevole potere politico come moglie di Menelik, sia prima sia dopo che furono incoronati imperatore ed imperatrice d'Etiopia nel 1889. 
Profondamente sospettosa delle intenzioni europee nei confronti dell'Etiopia, fu un'attrice fondamentale nel conflitto con l'Italia e mantenne una linea dura nei confronti degli Italiani, tanto che fu presente, comandando un reparto di cannonieri, nella storica battaglia di Adua.
È sepolta accanto a suo marito presso il monastero di Taeka Negest Ba'eta Le Mariam ad Addis Abeba.















Khat - Coltivazione da sballo


27 aprile 2013 - La rivelazione Amhara

E’ una pianta (Catha edulis) originaria dell'Etiopia, ma assai diffusa nella penisola Arabica. Le foglie contengono un alcaloide dall'azione stimolante, che causa stati di eccitazione e di euforia, e che provoca forme di dipendenza. E’ una sostanza di natura anfetaminica a spiccato effetto psicotropo, euforizzante e reprimente gli stimoli di fame e fatica; ha anche un notevole effetto analgesico.

Nel 1980, l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha classificato il Khat tra le droghe, ma l’uso e la vendita sono legali in Etiopia ed è il primo prodotto d’esportazione dopo il caffè.

Lo abbiamo incontrato come offerta sulle strade etiopi, ma lo abbiamo vissuto durante una nostra escursione sul lago Tana, alla ricerca di un monastero, poi rivelatasi una chiesa architettonicamente da dimenticare. 
Avvicinati da un ragazzo che, col suo mazzetto in mano tentava di spiegarci la qualità del suo prodotto (sono le foglie appena germogliate a farne l’eccellenza), ci siamo accorti di essere, in campi di un bel verde smeraldo, nel bel mezzo di una fase del raccolto da parte di alcuni ragazzi intenti a riempire di rami le sacche a tracolla e con le foglie più giovani le loro bocche sorridenti. 

Assumere il Khat significa strappare le foglie, riempirsi la bocca e, con un’operazione da ruminante, masticarle sino a farle diventare una poltiglia verde, di sapore erbaceo, da tenere per ore, tanto da far riconoscere subito i masticatori di Khat, dal rigonfiamento delle ganasce o dall’erba incastrata tra i denti. 

Il rilascio del principio attivo è lento e l’effetto si può riassumere in una strana forma di euforia tipo “troppo caffè”, ma allegra, l’occhio si arrossa, il cuore accelera percepibilmemte, i movimenti sono più disinvolti e facili.



















giovedì 23 maggio 2013

Adua - La disastrosa battaglia


3 maggio 2013 - La rivelazione Amhara

Nel viaggio di ritorno da Lalibela ad Addis Ababa, circa 12 ore (non ha senso parlare di chilometri) di strada asfaltata e di pista molto più adatta a mezzi di trasporto alternativi, il conducente del mini bus, senza proferire parola, ha bloccato il mezzo su una piana tra le montagne del Tigré, dove spiccava un cartello, che poi arrivati a leggere, sintetizzava il dramma di quel luogo sacro, in una data, per gli etiopi, considerata “giorno della liberazione”: 1 marzo 1896. Per noi giorno infausto e assolutamente da dimenticare, se non fosse per rispetto alle migliaia di vittime lasciate tra quegli arbusti.
Una sosta di pochi minuti, nemmeno una parola scambiata, ciascuno immerso in un pensiero di commemorazione dei suoi ormai lontani antenati, forse nel ricordo di una vittoria dolorosa, o di una sconfitta altrettanto dolorosa, ma certamente inutile, come tutte le guerre.





Treaty of Wuchale
Il trattato di Uccialli fu firmato da re Menelik II di Shewa, più tardi Imperatore d'Etiopia con il conte Pietro Antonelli d'Italia, nella città di Uccialli, il 2 maggio 1889. Venivano ceduti territori parte dell'Etiopia, come colonia italiana nel moderno stato di Eritrea. In cambio, l'Italia prometteva assistenza finanziaria e forniture militari. L’articolo 17 che riguardava la condotta degli affari esteri fu la scintilla che portò alla prima guerra italo-etiopica. 
La versione italiana dell’articolo, dichiarava che l'Etiopia era obbligata a condurre tutti gli affari esteri tramite le autorità italiane, rendendola in pratica un protettorato italiano, mentre la versione amarica, dava all’Etiopia notevole autonomia, con la possibilità di comunicare con terze potenze, solo attraverso gli italiani. Il malinteso, però di estrema importanza, era dovuto alla cattiva traduzione di un verbo, che rappresentava una clausola permissiva in amarico e una obbligatorietà in italiano. 

Amharic version
Ethiopia may use the good offices of Italy in her foreign affairs

Italian version
Menelik to make all his foreign contacts must be through the agency of Italy


La battaglia di Adua, momento culminante e decisivo della guerra di Abissinia, tra le forze italiane, comandate dal tenente generale Oreste Baratieri e l'esercito abissino del negus Menelik II. Gli italiani subirono una pesante sconfitta (4000 italiani e 2000 ascari morti), che arrestò per molti anni l’ambizione coloniale sul corno d'Africa.

Con i negoziati che seguirono, il Regno d'Italia si vide costretto ad abrogare il trattato di Uccialli e a rinunciare alle mire espansionistiche che aveva nei confronti dell Etiopia. La sconfitta di Adua ridimensionò, forse anche più del dovuto, il sogno della giovane nazione di diventare una grande potenza politico-militare dello scacchiere europeo.


“Don Gallo, ha saputo unire Cielo e Terra” di Luigi Ciotti


giovedì 23 maggio 2013 - Pensieri e parole da condividere

Don Andrea Gallo ha rappresentato – anzi incarnato – la Chiesa che non dimentica la dottrina, ma non permette che diventi più importante dell’attenzione per gli indifesi, per i fragili, per i dimenticati.  

Mi piace ricordarlo così: come un prete che ha dato un nome a chi non lo aveva o se lo era visto negare. Ma il suo dare un nome alle persone nelle strade, nelle carceri, nei luoghi dei bisogni e della fatica, è andato di pari passo con un chiamare per nome le cose. Andrea non è mai stato reticente, diplomatico, opportunista. Non ha mai mancato di denunciare che la povertà e l’emarginazione non sono fatalità, ma il prodotto di precise scelte politiche ed economiche. 
Ha sempre voluto saldare il Cielo e la Terra, la sfera spirituale con l’impegno civile, la solidarietà e i diritti, il messaggio del Vangelo con le pagine della Costituzione. Le sue parole pungenti, a volte sferzanti, nascevano da un grande desiderio di giustizia, da un grande amore per le persone.  

Ci mancherai tanto, Andrea, e ti dico grazie. Grazie per i tratti di cammino percorsi insieme. Grazie per le porte che hai aperto e che hai lasciato aperte. Grazie per aver testimoniato una Chiesa capace davvero di stare dalla parte degli ultimi, dalla parte della dignità inviolabile della persona umana. 

La Stampa, 23 maggio 2013

mercoledì 22 maggio 2013

Restate Umani


mercoledì 22 maggio 2013 - Pensieri e parole da condividere

Don Andrea Gallo, classe 1928. 

Vorrei ricordarlo così: con le frasi di tanti, per i suoi libri, per le sue parole, per il suo essere un prete senza parrocchia, ma con moltissimi fedeli, per aver dato voce ai deboli, per essere sempre stato dalla parte degli “ultimi”.

«Sogno una Chiesa non separata dagli altri, che non sia sempre pronta a condannare, ma sia solidale, compagna» Questo il suo ultimo messaggio su twitter.

Don Gallo se ne va a 84 anni, dopo infinite dispute coi suoi superiori sul senso della Chiesa e del Vangelo. 
Ora, finalmente, scoprirà chi aveva ragione.

Se n’è andato un grande!

Addis Ababa - Monumenti per Non Dimenticare


venerdì 3 maggio 2013 - La rivelazione Amhara

Talvolta, anche da viaggiatori, serve soffermarsi per alcuni istanti di meditazione e ripensamento di un doloroso passato, almeno per sperare non si ripeta in futuro.

Monumento Yekatit
In piazza Siddist Kilo, si può ammirare, non certo con orgoglio di patria, la maestosità di questo monumento alla memoria delle migliaia di etiopi innocenti uccisi in segno di rappresaglia, per l’attentato del 19 febbraio 1937, contro il maresciallo Graziani, viceré di Etiopia.
http://cronologia.leonardo.it (carneficina in Addis Abeba)




Monumento del Derg
Il monumento, di fronte al Black Lion Hospital, che svetta verso il cielo è quanto di più toccante si possa vedere nella capitale, a ricordo della dolorosa parentesi comunista vissuta dal paese. Sono molto appariscenti la gigantesca stella rossa e la falce e martello dorati.

Derg ha rappresentato il governo militare etiope, di ispirazione comunista, in carica dal 1974 al 1987. Nel febbraio del ‘74 un gruppo di ufficiali dell'esercito etiope occupò Addis Abeba e portò a termine un colpo di stato che culminò nell'arresto dell'imperatore Haile Selassiè e la fine del regime imperiale in tutta l'Etiopia. 




Monumento al Leone di Giuda 
Per secoli simbolo della monarchia etiopica, il leone di Giuda è onnipresente in tutto il paese. Dall’alto di un sovrapasso stradale, lo si può ammirare in tutta la sua possanza. Eretto nel 1930, per l’incoronazione di Hailè Selassiè, fu portato a Roma, come bottino di guerra dagli italiani nel 1935 e collocato accanto all’imponente monumento a Vittorio Emanuele.

Era il 21 maggio 1937 e a Roma, l'Italia celebrava l’anniversario della proclamazione dell'Impero italiano. Partecipavano ospiti: Adolf Hitler, Benito Mussolini e il re Vittorio Emanuele III. Marciavano in sfilata anche migliaia di individui provenienti dalle colonie africane. 
Tra di loro c'era un giovane eritreo di nome Zerai Deres, con una spada sguainata per salutare le autorità in tribuna. Quando gli occhi di Zerai incontrarono il Leone di Giuda, simbolo dell'antica monarchia, a cui lui e i suoi antenati avevano giurato eterna fedeltà, su quel monumento, bottino di guerra, nel cuore di Roma, preso da un raptus, si scagliò sui poliziotti di guardia e con la spada riuscì ad ucciderne cinque e a ferirne altri.
Il monumento al Leone di Giuda fu restituito all’Etiopia e collocato in Addis Ababa, nel 1960.

Il leone è il simbolo della tribù di Giuda descritta nell'Antico Testamento, dalla quale discendeva Gesù Cristo. La chiesa ortodossa etiopica, chiesa cristiana antichissima, considerava il Re dei re Hailé Selassié come il Leone di Giuda dell'Apocalisse.



Rumey - Strumento indispensabile


3 maggio 2013 - La rivelazione Amhara

Girando per un Paese sconosciuto con l' amico Paolo, è facile essere attori di aneddoti e “stranezze” con cui cazzeggiare a volte seriamente, a volte piacevolmente, motivati dalla curiosità e dal confronto del nostro comportamento occidentale con gli usi e costumi del paese ospite.

Vedendolo così confabulare con venditori, fra i tanti, di “strani” bastoncini, nelle caotiche vie di Addis Ababa e spinto dalla curiosità di queste trattative, ho chiesto lumi del suo interesse, lasciando libero sfogo alla sua professionalità e loquacità, per un aneddoto abbastanza desueto.






Il bastoncino oggetto del contendere proviene dalla Somalia e nasce da una pianta simile al sambuco, denominata “Rumey”. Il pennello ottenuto masticandolo, viene usato come spazzolino su tutte le superfici dentali: vestibolare, linguale, spazi interdentali e superficie triturante.
Tale operazione è compiuta al mattino e dopo ogni pasto, per un tempo di alcuni minuti e per non meno di tre o quattro volte al giorno. Quasi tutta la popolazione usa ancor oggi il Rumey e viste le dentature delle ragazze etiopiche si può evincere che l’uso, quanto mai efficace per tenacia, minuzia e tempo dedicato alla corretta igiene orale, sia di importanza superiore alla qualità del mezzo usato.
(p. g. c. del dott. Paolo, dalla tesi di specializzazione di odontoiatria, anno ‘84/’85)

lunedì 20 maggio 2013

Lalibela - Chiese del gruppo Sud-orientale


2 maggio 2013 - La rivelazione Amhara

Anche se di dimensioni più contenute nei confronti delle chiese nord-occidentali, sono però maggiormente elaborate e più misteriose.

Bet Gabriel, Bet Rufael, Bet Amanuel, Bet Merkorios, Bet Abba Libanos sono luoghi di culto, anche se studiosi hanno individuato per questi edifici utilizzazioni, in passato, come palazzi o prigioni.
Indubbiamente alcune facciate, con i muri sporgenti, i fregi e i capitelli cubici, sono davvero singolari e hanno un indubbio fascino.

Ci si perde volentieri lungo una serie di cunicoli, tunnel, passaggi sotterranei, gallerie e fossati che le collegano e ogni volta, nell’entrare e uscire da esse, si rimane stupiti dalla moltitudine di gente che si incontra, dal silenzio solo rotto dalla nenia della preghiera che si perde in questi meandri.  Qui il soffermarsi a meditare diventa d’obbligo e il tempo sembra fermarsi per un’occasione imperdibile di confronto col nostro mondo frenetico.