lunedì 31 dicembre 2012

Caprese Michelangelo e il Tondo Doni


lunedi 31 dicembre 2012 - Sensi e Sensazioni

Michelangelo Buonarroti nacque a Caprese il 6 marzo 1475 e nella chiesa di San Giovanni, dopo pochi giorni, venne battezzato. La casa natale e le vestigia dell’antico castello, oggi sede del Museo Michelangiolesco, attraverso opere, riproduzioni fotografiche e antichi calchi in gesso, permettono di conoscere la vita e le opere del grande maestro, assaporando la stessa atmosfera di oltre cinquecento anni fa.





Guardando il Tondo Doni, (Museo degli Uffizi, Firenze) si nota nella parte alta un paesaggio montano che presenta una impressionante somiglianza con il profilo inconfondibile della scogliera della Verna.
L’inserimento del paesaggio di Chiusi della Verna nel dipinto, non avvenne casualmente, ma per i legami e i contatti dell’Artista e della sua famiglia con i francescani e l’Averna.
Prima di Ludovico, padre di Michelangelo, erano stati podestà a Chiusi anche il bisavolo nel 1404 e il nonno Leonardo di Simone, nel 1424. Firenze assegnò quindi più incarichi politici alla famiglia nel contado di Chiusi e di Caprese, dove si trovava il più importante santuario francescano della Toscana.


La Verna e Francesco


lunedi 31 dicembre 2012 - Sensi e Sensazioni

Il Santuario si trova sul monte Penna (detto anche monte della Verna), vicino a Chiusi, in provincia di Arezzo. Assieme a Camaldoli rappresenta il principale luogo di interesse spirituale e religioso del Casentino. 

Il monte fu donato nel 1213 a San Francesco dal conte Orlando Cattani, che lo descrisse come luogo ideale per la contemplazione: "Io ho in Toscana uno monte divotissimo il quale si chiama monte della Vernia, lo quale è molto solitario e salvatico ed è troppo bene atto a chi volesse fare penitenza, in luogo rimosso dalle gente, o a chi desidera fare vita solitaria. S'egli ti piacesse, volentieri Io ti donerei a te e a' tuoi compagni per salute dell'anima mia".

Divenne il luogo preferito da Francesco e i suoi compagni per lunghi periodi di meditazione e preghiera. L'ultimo suo soggiorno avvenne nel 1224, quando, ormai stanco e ammalato ebbe una visione e sul suo corpo si impressero le stigmate, che portò fino alla morte, avvenuta due anni più tardi.




















Entrando dall'antico ingresso si accede a un piccolo porticato. Salendo poi pochi gradini ci si trova sul Quadrante, il piazzale lastricato, che prende il nome dalla meridiana incisa sul campanile della Basilica: "se il sol mi guarda le ore ti mostro". Una grande croce in legno si affaccia sulla valle del Casentino, siamo a 1.128 metri sul mare e si gode di un panorama magnifico.

Santa Maria degli Angeli
Rappresenta il nucleo originario attorno al quale si è poi sviluppato tutto il convento e fu costruita in seguito all'apparizione della Vergine a San Francesco. Sul suo campanile a vela vi è ancora la campana donata nel 1257 da San Bonaventura. 

La Basilica e il Campanile
La Basilica, dalla forma a croce latina e a navata unica, fu iniziata nel 1348. All'esterno è abbracciata da un porticato che si prolunga quasi fino al campanile. Quest'ultimo è di forma quadrata é alto 24 metri e risale alla fine del 1400. 
La basilica conserva al suo interno capolavori d'arte, fra i quali spiccano le ceramiche di Andrea della Robbia e della sua bottega. 
Nella Cappella delle Reliquie sono conservati alcuni oggetti appartenuti a Francesco. 

Il Corridoio delle Stimmate
A sinistra della Basilica si trova la Cappella della Pietà, terminata nel 1532. 
Attraverso una porta ad arco si accede al Corridoio delle Stimmate, edificato tra il 1578 e il 1582 e affrescato con episodi della vita di San Francesco. 

Cappella della Stimmate
Rappresenta il cuore del Santuario. Sorge sul luogo ove San Francesco ricevette le stigmate e venne edificata nel 1263. Sul pavimento è segnalata da una lapide il luogo dove sarebbe avvenuto il miracolo. 

Sasso Spicco
Dal piazzale è possibile scendere in una gola che si apre fra enormi massi, che sembra solcare e dividere in due tutta la montagna. Questo masso imponente che sporge sopra un'altra grande roccia, sembra staccato e si regge solo per il contrappeso della sua parte nascosta. 



lunedì 24 dicembre 2012

Colleville e La Cambe


7 agosto 2009 - Sensi e Sensazioni

Il cimitero americano di Colleville è al centro di uno spazio di 70 ettari, concessi dalla Francia agli Stati Uniti. Con le sue pietre tombali perfettamente allineate su una maestosa spianata di un verdeggiante prato inglese, 9.387 croci di un bianco immacolato. Tutti i giorni, alle 16.30, al suono di un inno militare, la bandiera americana  viene  ammainata e piegata. Il  cimitero americano è il più grande, il più conosciuto e il più commovente  tra quelli dello Sbarco.













l cimitero tedesco di La Cambe raccoglie le salme di 21.222 caduti ricordati da gruppi di cinque croci nere e piccole piastre che sovrastano di poco l'erba. E’ il cimitero dei vinti. Le croci non sono né bianche né erette. Sono di pietra scura, prostrate a terra, sembrano umiliarsi nell' accettazione di un nero destino. Croci appena abbozzate, minimali, chiuse in se stesse come un fiore secco. 







Normandia, la memoria degli altri
... Il paese di La Cambe è segnato da questi tristi inquilini, non partecipa alla cuccagna del ricordo trionfante che inonda di miliardi la Normandia. Non ha ristoranti, negozi di souvenir, non è traversato da orde di visitatori. Un'autostrada lo separa dal cimitero, una barriera che è anche mentale. La gente non nutre più animosità verso il luogo delle croci nere, ma di certo lo circonda di una pudica indifferenza.

Quindici chilometri più a nord, il cimitero di Colleville pare un altro pianeta. Togli l'erba rasata, e la differenza è impressionante. Croci candide, luminose, erette, protette da centinaia di uomini, circondate da felpato silenzio, visitate da migliaia di persone, onorate da capi di stato, accudite da accompagnatori, giardinieri, guardiani, archivisti, muratori. 
E' una macchina che marcia a pieno regime, ammonisce     l'Europa, attira folle sulla battigia per il display della vittoria. Sono le croci della causa giusta, il simbolo di una guerra pulita. Croci di prima linea. Vicine al cielo, in cima alla collina, con vista mare. 

I civili francesi ebbero 20 mila morti nello sbarco, un tributo di vite quasi pari a quello dei soldati Usa. Per contarli, devi andare nei cimiteri dei villaggi, all' ombra dei campanili, in posti che oggi nessuno visita. A Saint Lo, chiamata "La capitale delle macerie", le bombe alleate fecero ottocento morti in poche ore perché nessuno si aspettava un attacco così lontano dalla costa. Fu l'inferno: i tedeschi da una parte, gli alleati dall' altra e la gente intrappolata in mezzo. Due giorni dopo, l'8 giugno, la città si scoperse disseminata di cadaveri. Ovunque, uno spaventoso e pestilenziale spettacolo di morte.

Paolo Rumiz - La Repubblica - 5 giugno 2004





“Il Paese che potremmo fare” di Mario Calabresi


lunedì 24 dicembre 2012 - Pensieri e Parole da condividere

Il discorso più politico della vita di Mario Monti non aveva niente che ricordasse il linguaggio della politica. Nessuna allusione, nessun dubbio di interpretazione: le critiche, anche durissime a Berlusconi come alla Cgil o a Vendola, erano chiarissime e lineari, così come le speranze, le paure e l’orgoglio. Il linguaggio usato efficace, perché ogni parola voleva dire esattamente quello che il suo suono conteneva. Tanto che la critica più forte rivolta ad Alfano e al partito che ha messo fine in anticipo alla legislatura è di aver parlato con troppa leggerezza e disinvoltura, dimenticando che la forza delle parole sta nel loro significato originale.  
Il discorso del Professore che si è appassionato all’arte di governare (intesa come possibilità di fare la differenza nelle scelte cruciali per il destino di un Paese) cade in un momento di passaggio fondamentale per l’Italia, che è anche passaggio d’anno e fine di legislatura. E’ un discorso che potrebbe anche non avere alcuna conseguenza pratica, perché è difficile immaginare quali processi aggregativi possa mettere in atto e perché il percorso non è chiaro, ma quello che mi ha colpito è la forza di una testimonianza di quello che siamo e di ciò che potremmo essere.  

È la forza di richiamare al dovere della chiarezza e della verità le maggiori forze politiche italiane che concorrono alla guida del Paese.  

Mario Monti ha voluto dire alla società italiana che il mondo è profondamente cambiato, che corre veloce intorno a noi, che la distinzione destra-sinistra non basta più a risolvere i problemi e a spiegare le sfide, ma che la vera discriminante è tra conservatorismo e voglia di futuro, tra il coraggio della verità e la demagogia degli slogan. Ha parlato del bisogno di fare bambini, di restituire fiducia e di scommettere sulle donne per avere una società che cresce. 

«Promettere di abolire l’Imu è bellissimo, ma se lo si facesse dopo solo un anno si sarebbe costretti a rimetterla raddoppiata», ha detto sottolineando che non è più tempo di giochi, spacconate, che nessuno nel mondo è più disposto a tollerarle e a sopportare la nostra inclinazione alla scorciatoia. 

C’è bisogno di «una politica forte e con le spalle larghe, che non corre a nascondersi» e che non deve avere paura di assumersi responsabilità ma che soprattutto «non svenda il futuro dei giovani solo per farsi rieleggere». 

Ho pensato spesso all’uscita di Monti da Palazzo Chigi, mi aspettavo che fosse simile alla sua entrata e al suo stile: immaginavo se ne andasse senza fare proclami, ringraziando per l’opportunità, e che, dopo aver restituito le chiavi e salutato, avrebbe preso un treno per Milano. La foto dell’uomo che saliva sul treno avrebbe fatto il giro del mondo, l’uscita di scena avrebbe di certo spaventato i mercati ma sarebbe stato anche un grandioso segno di normalità (cosa a cui nessuno è abituato quando si parla di Italia). Nei giorni successivi mi immaginavo sarebbe rimasto in silenzio e lo avremmo visto al massimo passeggiare per Milano o in qualche località di montagna con la moglie e i nipotini. Sarebbe diventato l’ideale Riserva della Repubblica e il più forte pretendente alla successione di Giorgio Napolitano al Quirinale. 

Invece Mario Monti ha scelto di parlare per oltre due ore, di lanciare un suo manifesto sul futuro dell’Italia, di mettersi a disposizione per guidare una nuova stagione politica. Perché lo ha fatto? Direi per un solo motivo: per paura che gli sforzi dell’ultimo anno potessero essere vanificati, per paura che i conservatori potessero tagliare in fretta i primi faticosi germogli di cambiamento. Ieri ha detto con chiarezza quali sono i mondi che lo spaventano e che secondo lui possono mettere in discussione il futuro del Paese: da un lato il ritorno di Berlusconi e delle sue promesse irrealizzabili, quel modo di intendere gli impegni che in Europa ci procurerebbe di nuovo solo risatine e alzate di spalle; dall’altro la visione conservatrice di Vendola e della Cgil, soprattutto sul lavoro. 

Durante l’estate il Professore ha capito cosa significa governare - tanto che per lui la maggior colpa del predecessore non sono «i festini irriguardosi di ogni dignità ma le decisioni mai prese» - e ha sentito chiara la soddisfazione di riuscire a fare la differenza nel dibattito europeo, di riuscire a farsi ascoltare e rispettare là dove da tempo non avevamo più diritto di parola. Così ha pensato che tornare a casa in silenzio sarebbe stata una furbizia, forse lucrosa, ma non più in sintonia con i tempi di cambiamento che viviamo. E allora ha messo in gioco tutto, per poter dire con chiarezza quello che pensa, perché è convinto che una strada di uscita dal tunnel ci sia ma abbia bisogno di coraggio, di rotture di schemi ideologici ormai completamente superati. 
Non ho assolutamente idea di quale potrà essere il destino politico di Monti, ma alla vigilia del nuovo anno ho una sola speranza: che non si richiuda tutto come se l’anno dei tecnici non ci fosse mai stato, che la politica sia capace di rinnovarsi, di cambiare, di dare risposte vere che si occupino del malessere e ci parlino di futuro.  
Il discorso di Monti è un buon viatico, è un serbatoio di idee per un’Italia più europea, più razionale e più dinamica, speriamo che anche Pierluigi Bersani, che è il candidato più quotato alla guida del Paese, non si rinchiuda in un atteggiamento di autosufficienza ma colga tutto questo come un’opportunità. 

La Stampa, 24 dicembre 2012

venerdì 21 dicembre 2012

Francia - Normandia - Fécamp


giovedì 6 agosto 2009 - Quattro salti per l’Europa

Situata sulla Costa d'Alabastro e posizionata ai piedi delle grandi scogliere di Étretat, la cittadina ha sempre avuto una forte vocazione marinara: infatti da qui partivano i pescherecci per la pesca del merluzzo di Terranova. 
In centro al paese, è immediatamente visibile il Palais Bénédictine, un monumento di insolita architettura dove, da oltre un secolo, viene preparato il liquore Bénédictine, esportato nel mondo intero. 

Nel 1863, Alexandre Le Grand, negoziante di vini di Fécamp e grande collezionista d'arte, ritrova un libro, che risale a prima della Rivoluzione. Tra le altre ricette, c'è quella, piuttosto enigmatica, dell'élisir di Dom Bernardo Vincelli, un benedettino veneziano del Rinascimento. Con pazienza, egli decifra la preziosa formula, nella quale si sposano la mirra con il ginepro, lo zafferano con la buccia di limone. L'esposizione «percorso di essenze» presenta qualcuna delle 27 piante e spezie, che lo compongono: cardamono, noce moscata, angelica, coriandolo, chiodi di garofano, mirra, cannella. Le infusioni e le distillazioni di spezie si effettuano in grossi alambicchi di rame. Le cantine contengono i diversi miscugli e alcolati, che invecchiano e riposano in botti di quercia centenaria. Il Palais Bénédictine comprende oggi tre centri d'interesse: una collezione di oggetti d'arte religiosi del XV e XVI secolo, presentati in una successione di sale neo-gotiche e neo-rinascimentali, immutate da inizio secolo scorso; una distilleria in cui si prepara il celebre liquore; una galleria d'arte contemporanea.








La chapelle du Salut sur la Côte de la Vierge