mercoledì 30 gennaio 2019

Storie di Denti

mercoledì 30 gennaio 2019 - Smile Mission

Oggi è l’ultimo giorno di lavoro. Sarà suor Florence la nostra ultima paziente, per un controllo dei suoi denti, oserei dire perfetti.

E’ tempo di tirare le somme della nostra attività (mi considero anch’io della partita, anche se il lavoro più importante e difficile lo hanno portato a termine Paolo e Sonia).

In undici giorni di lavoro, abbiamo visto 164 pazienti (102 femmine, 57 maschi e 5 bambini), per un totale di 266 interventi (140 estrazioni, 59 otturazioni, 30 impronte, 20 pulizie, 10 visite, 4 riparazioni protesi e 3 consegne e adattamenti protesi).

Le storie che abbiamo sentito e vissute sono parecchie e vorrei condividerle:

Lavorare al buio
A Rugege, nel nostro ambulatorio, la corrente era alternata, nel senso che per alcune ore si potevano usare quasi tutti gli strumenti elettrici, mentre per altri momenti erano interdetti per l’interruzione di energia e così i pazienti dovevano aspettare sino al ritorno della forza elettrica. Il problema nasceva quando la fase dell’intervento era in fase di sviluppo e lasciava all’intraprendenza del dentista, portare avanti il discorso. Nel caso di estrazioni ad esempio, l’illuminazione veniva fornita dalla torcia del cellulare o da una pila portata all’uopo da casa.

La mandibola bloccata
Un giovane paziente era in poltrona per l’estrazione di un molare. Dopo il buon esito dell’operazione, nel momento di “funga umunwa” (chiudi la bocca), resta con la mandibola bloccata e la bocca smisuratamente aperta. Che fare? Devo dire da spettatore, che ero letteralmente paralizzato. Suor Pauline, la nostra interprete, sentito il giovane, molto calmo che spiegava che ciò gli succedeva frequentemente, ci informa che l’ospedale, dove sarebbero potuti intervenire, distava 4 ore di auto, ma il fuoristrada a nostra disposizione non era disponibile. La calma di Paolo, il nostro bravo dottore e l’esperienza di casi già riscontrati ha fatto sì che con delle mosse ben assestate, risolvesse il caso, senza alcuna conseguenza, in dieci minuti, che per me sono stati i più lunghi del nostro soggiorno. Il paziente, continuando a ringraziarci, ci faceva capire che quella era stata la volta più veloce e priva di dolore nel riprendere la mobilità della mascella e di parola. 

I denti da latte
Il ragazzino di 9 anni si era presentato da solo in ambulatorio e piangendo, raccontava che era arrivato da lontano, a piedi per farsi togliere i denti che lo facevano soffrire. Paolo, notato che si trattava di denti da latte che sarebbero dovuti cadere spontaneamente e che il giovane stava veramente soffrendo, ha deciso di intervenire ad estrarre, ma dopo quattro radici, nella necessità di un’ulteriore dose di anestetico, ci accorgevamo di non avere più fiale a disposizione. L’ora era tarda e il dispensario dell’ospedale a fianco era chiuso. Con le suore, abbiamo quindi predisposto, senza poter avvisare la famiglia, un ricovero del ragazzino presso l’ambulatorio, per poi riprendere l’intervento il mattino successivo. Credo di poter dire che a quelle latitudini, il passaggio verso la matura responsabilità dell’individuo, avviene molto precocemente.

Isidoro
E’ la persona più silenziosa della nostra giornata lavorativa. Per essere presente sul lavoro alle 7:00 del mattino, deve percorrere 2 ore di cammino, che poi replica alla sera alle 17:00 quando torna a casa. E’ colui che ci fa trovare aperto e in ordine l’ambulatorio, con i serbatoi svuotati, l’attrezzatura pulita, l’autoclave libera per la nuova sterilizzazione; che riceve in sala d’attesa i primi pazienti già lì dalla sera precedente. E’ indispensabile per la nostra attività e ci segue come un’ombra per tutta la giornata.

Il dente del giudizio
Bussa alla porta dell’ambulatorio una ragazzina piangente, che Isidoro ci presenta con la sua storia commovente. Ha sedici anni e ci implora di porre fine al suo dolore, raccontandoci che due giorni prima, camminando nella foresta, in lacrime per quel dente, aveva incontrato un ragazzo che si era preso cura del suo caso e l’aveva invitata a casa sua, spacciandosi per aver già estratto denti e che avrebbe portato fine alla sua sofferenza. Era sì intervenuto, estraendo la corona, ma lasciando ancora in sede le radici.
Non andiamo a fondo della dinamica del racconto, ma Paolo ad una immediata visita, si rende conto del problema e di come procedere a risolvere quel suo dramma. I ringraziamenti al medico e il ritorno al sorriso, sono il nostro compenso.

Al mercato
Ormai la leggenda dei dentisti a disposizione a Rugege aveva già fatto il giro dei villaggi. La domenica di gita al lago Kivu, ci fermiamo a uno dei tanti mercati sulla strada e, mentre suor Pauline e Kabera vanno a cercare la verdura da acquistare, davanti al mio finestrino aperto, si ferma una signora anziana che mi scambia per il dentista, credo per la barba bianca e per la camicia dello stesso colore. Con un sorriso misto a sofferenza, prende la mia mano e se la infila in bocca a farmi sentire la “cariatura” dei suoi pochi denti. Naturalmente, in assenza della suora traduttrice, non riusciamo a capire nulla di quanto mestamente trasmessoci, ma crediamo di interpretarlo come la sofferenza di quella bocca e come appuntamento al più presto in ambulatorio. Ci saluta dandoci la mano e con un gesto che sembra confermare un arrivederci. 

Una faccia di bronzo
Un mattino troviamo la sala di attesa stracolma, il che ci fa programmare una giornata molto intensa. Dopo un paio di interventi, sentiamo aprire la porta e affacciarsi una bella ragazza in camice bianco che, in un inglese fluente, si presenta come infermiera del vicino ospedale e si dimostra immediatamente disponibile e utile con i pazienti in ambulatorio per la traduzione dei loro problemi e pronta a darci una mano. Passa una mezz’ora e nel mezzo di alcuni minuti di pausa tra un paziente e l’altro, si stende sulla poltrona, chiedendo con uno smagliante sorriso, prima una visita e poi la pulizia dei suoi, va detto, bellissimi denti.
Chiaramente ormai considerata preziosa collaboratrice, viene esaudita nei suoi desideri, a scapito della lunga fila di attesa e di una mezz’oretta del nostro buon cuore. Subito dopo, alzandosi dalla poltrona e con un affrettato “See You” raggiunge la porta, tra il nostro stupore. Perse le sue tracce, ma ancora vivo il ricordo della sua sfrontatezza! 

Il ballo di ringraziamento
Si presenta un mattino un signore anziano, vestito di tutto punto, con cappello cravatta e bastone e si siede tranquillamente sulla poltrona, chiedendo di togliere gli ultimi tre denti in bocca, aspettandosi deciso l’intervento di Paolo. Sonia lo prepara e si procede in silenzio. Finito di operare, si sciacqua e si pulisce la bocca e poi con uno scatto giovanile si alza e comincia a muovere alcuni passi di danza con le braccia alzate e ringraziando tutti in ambulatorio con una stretta particolare della mano e del braccio gioiosamente esce dalla stanza, lasciandoci tutti sorridenti e contenti.

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