giovedì 4 ottobre 2012

“La nuova Italia del premier” di Paolo Baroni


venerdi 5 ottobre 2012 - Pensieri e Parole da condividere

C’è un’Italia vecchia che nessuno vuol più vedere, quella degli scandali, degli sprechi e della cattiva politica, e c’è un’Italia nuova fatta di trasparenza, velocità, semplicità: l’Italia digitale prossima ventura. Dopo il Salva-Italia ed il Cresci-Italia arriva il momento del Trasforma-Italia. Provvedimenti molto differenti tra loro, ha ammesso lo stesso presidente del Consiglio Mario Monti, quelli sulla crescita e quelli sui costi della politica, uniti però da un comune denominatore: la ferma volontà di voler voltare pagina.  

Gli scandali delle ultime settimane, nel Lazio, come in altre Regioni italiane, hanno indignato tutti e fatto cadere le ultime resistenze di una classe politica sempre difficile da domare come quella degli amministratori locali. Su Regioni, Comuni e Province, su sprechi, privilegi e cattive prassi il governo ora interviene col pugno duro, per decreto.  

Abolendo da subito i vitalizi, tagliando compensi, gettoni e indennità, sfoltendo il numero delle poltrone, introducendo controlli molto severi (finalmente anche preventivi) da parte della Corte dei Conti, della Ragioneria e della Guardia di Finanza su spese, bilanci e procedure di controllo. E poi, per i «cattivi amministratori», quelli che hanno portato il loro ente al dissesto, si arriva addirittura a vietare ogni nuovo incarico pubblico anche per 10 anni.  

In altri tempi si sarebbe urlato alla violazione dei diritti costituzionali e delle prerogative sancite dal Titolo V, ora si può solo applaudire e dire «finalmente». Finalmente si fa punto e a capo. Misure troppo severe? Alla luce delle cronache di queste settimane sindaci, assessori e consiglieri vari, se le sono meritate tutte. Perché, come ha sottolineato ieri lo stesso Monti, scandali e sperpero di soldi pubblici (tanto più oggi che tutti sono costretti a tirare la cinghia e le tasse sono alle stelle), fanno parte di «un’Italia vecchia che preferiremmo non vedere in futuro», quella dei Fiorito, dei Lusi e dei Belsito per intenderci. 

Il futuro che immagina il governo per gli italiani è completamente diverso. Le tasse per ora non calano, nonostante le allusioni fatte ieri dal premier, che non ha escluso possibili interventi a fine legislatura, salvo poi frenare subito dopo. E allora, almeno, cerchiamo di rendere più semplice la vita ai cittadini, più efficiente e trasparente il funzionamento della macchina pubblica. A questo serve il pacchetto di interventi riassunto sotto il titolo «Agenda digitale», la parte certamente più innovativa del decreto Crescita 2.0 varato ieri. La «nuova» Italia che Monti ed i suoi ministri (Passera, Profumo, Patroni Griffi, Severino e Balduzzi) si immaginano è un Paese che riesce digitalizzare tutti i rapporti con la pubblica amministrazione, facendo risparmiare tempo e denaro a cittadini e imprese, che realizza un unico tesserino elettronico che vale come documento di identità e tessera sanitaria (e non ce la fa nemmeno pagare, evviva!), permette di scaricare i libri di scuola da Internet, ti fa viaggiare sul bus con un biglietto elettronico, inventa un fascicolo sanitario elettronico che raccoglie tutti i dati del paziente e gli consente di ricevere prestazioni sanitarie adeguate ovunque si trovi in Italia, digitalizza i libretti universitari e la macchina della giustizia e spinge sull’acceleratore dei pagamenti elettronici, obbligando innanzitutto la pubblica amministrazione ad accettare bancomat e carte di credito. Misure da libro dei sogni? No, a patto che anche in questo campo si usi la stessa energia e determinazione con cui già nei mesi passati il governo ha varato altre importanti riforme (o la cattiveria con cui oggi si decide di intervenire sulla malapolitica).  

E le misure per la crescita? Qualcuno può dire «non pervenute», «insufficienti». Certo, i benefici del pacchetto digitale, che dispone di risorse appena sufficienti per decollare e prevede alcuni step di qui al 2014-2015, non arriveranno immediatamente e sono difficili oggi da «pesare», ma il decreto Crescita 2.0 non si risolve qui. Ci sono incentivi per la nascita di nuove imprese innovative, le cosiddette start-up, e soprattutto c’è un robusto credito di imposta fino al 50% dell’investimento a favore di chi realizza infrastrutture strategiche. Misura questa che nei piani del governo può arrivare a sbloccare quasi subito almeno 10 miliardi di fondi privati. Che visti i tempi di magra magari non basterà, ma è certamente un passo avanti sulla via della ripresa. 

La stampa, 5 ottobre 2012

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