lunedì 24 dicembre 2012

“Il Paese che potremmo fare” di Mario Calabresi


lunedì 24 dicembre 2012 - Pensieri e Parole da condividere

Il discorso più politico della vita di Mario Monti non aveva niente che ricordasse il linguaggio della politica. Nessuna allusione, nessun dubbio di interpretazione: le critiche, anche durissime a Berlusconi come alla Cgil o a Vendola, erano chiarissime e lineari, così come le speranze, le paure e l’orgoglio. Il linguaggio usato efficace, perché ogni parola voleva dire esattamente quello che il suo suono conteneva. Tanto che la critica più forte rivolta ad Alfano e al partito che ha messo fine in anticipo alla legislatura è di aver parlato con troppa leggerezza e disinvoltura, dimenticando che la forza delle parole sta nel loro significato originale.  
Il discorso del Professore che si è appassionato all’arte di governare (intesa come possibilità di fare la differenza nelle scelte cruciali per il destino di un Paese) cade in un momento di passaggio fondamentale per l’Italia, che è anche passaggio d’anno e fine di legislatura. E’ un discorso che potrebbe anche non avere alcuna conseguenza pratica, perché è difficile immaginare quali processi aggregativi possa mettere in atto e perché il percorso non è chiaro, ma quello che mi ha colpito è la forza di una testimonianza di quello che siamo e di ciò che potremmo essere.  

È la forza di richiamare al dovere della chiarezza e della verità le maggiori forze politiche italiane che concorrono alla guida del Paese.  

Mario Monti ha voluto dire alla società italiana che il mondo è profondamente cambiato, che corre veloce intorno a noi, che la distinzione destra-sinistra non basta più a risolvere i problemi e a spiegare le sfide, ma che la vera discriminante è tra conservatorismo e voglia di futuro, tra il coraggio della verità e la demagogia degli slogan. Ha parlato del bisogno di fare bambini, di restituire fiducia e di scommettere sulle donne per avere una società che cresce. 

«Promettere di abolire l’Imu è bellissimo, ma se lo si facesse dopo solo un anno si sarebbe costretti a rimetterla raddoppiata», ha detto sottolineando che non è più tempo di giochi, spacconate, che nessuno nel mondo è più disposto a tollerarle e a sopportare la nostra inclinazione alla scorciatoia. 

C’è bisogno di «una politica forte e con le spalle larghe, che non corre a nascondersi» e che non deve avere paura di assumersi responsabilità ma che soprattutto «non svenda il futuro dei giovani solo per farsi rieleggere». 

Ho pensato spesso all’uscita di Monti da Palazzo Chigi, mi aspettavo che fosse simile alla sua entrata e al suo stile: immaginavo se ne andasse senza fare proclami, ringraziando per l’opportunità, e che, dopo aver restituito le chiavi e salutato, avrebbe preso un treno per Milano. La foto dell’uomo che saliva sul treno avrebbe fatto il giro del mondo, l’uscita di scena avrebbe di certo spaventato i mercati ma sarebbe stato anche un grandioso segno di normalità (cosa a cui nessuno è abituato quando si parla di Italia). Nei giorni successivi mi immaginavo sarebbe rimasto in silenzio e lo avremmo visto al massimo passeggiare per Milano o in qualche località di montagna con la moglie e i nipotini. Sarebbe diventato l’ideale Riserva della Repubblica e il più forte pretendente alla successione di Giorgio Napolitano al Quirinale. 

Invece Mario Monti ha scelto di parlare per oltre due ore, di lanciare un suo manifesto sul futuro dell’Italia, di mettersi a disposizione per guidare una nuova stagione politica. Perché lo ha fatto? Direi per un solo motivo: per paura che gli sforzi dell’ultimo anno potessero essere vanificati, per paura che i conservatori potessero tagliare in fretta i primi faticosi germogli di cambiamento. Ieri ha detto con chiarezza quali sono i mondi che lo spaventano e che secondo lui possono mettere in discussione il futuro del Paese: da un lato il ritorno di Berlusconi e delle sue promesse irrealizzabili, quel modo di intendere gli impegni che in Europa ci procurerebbe di nuovo solo risatine e alzate di spalle; dall’altro la visione conservatrice di Vendola e della Cgil, soprattutto sul lavoro. 

Durante l’estate il Professore ha capito cosa significa governare - tanto che per lui la maggior colpa del predecessore non sono «i festini irriguardosi di ogni dignità ma le decisioni mai prese» - e ha sentito chiara la soddisfazione di riuscire a fare la differenza nel dibattito europeo, di riuscire a farsi ascoltare e rispettare là dove da tempo non avevamo più diritto di parola. Così ha pensato che tornare a casa in silenzio sarebbe stata una furbizia, forse lucrosa, ma non più in sintonia con i tempi di cambiamento che viviamo. E allora ha messo in gioco tutto, per poter dire con chiarezza quello che pensa, perché è convinto che una strada di uscita dal tunnel ci sia ma abbia bisogno di coraggio, di rotture di schemi ideologici ormai completamente superati. 
Non ho assolutamente idea di quale potrà essere il destino politico di Monti, ma alla vigilia del nuovo anno ho una sola speranza: che non si richiuda tutto come se l’anno dei tecnici non ci fosse mai stato, che la politica sia capace di rinnovarsi, di cambiare, di dare risposte vere che si occupino del malessere e ci parlino di futuro.  
Il discorso di Monti è un buon viatico, è un serbatoio di idee per un’Italia più europea, più razionale e più dinamica, speriamo che anche Pierluigi Bersani, che è il candidato più quotato alla guida del Paese, non si rinchiuda in un atteggiamento di autosufficienza ma colga tutto questo come un’opportunità. 

La Stampa, 24 dicembre 2012

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