lunedì 11 ottobre 2021

Un Cammino Primitivo di Maddalena Canepa

lunedì 11 ottobre 2021 - Sensi e sensazioni

Non so se capita anche a voi, ma quando leggo un libro che mi “prende”, nasce immediatamente e profondamente una gran voglia di condividerlo con qualcuno. Allora passo in rassegna tutti, ma proprio tutti gli amici e conoscenti che ho, per scoprire chi potrei coinvolgere in quella lettura per me così appassionante.

Ma il dubbio è sempre dietro l’angolo, perchè un libro, o meglio il suo contenuto ti può entusiasmare per il genere, con la trama, con i personaggi, per le assonanze con la tua vita, per infiniti altri motivi, anche strettamente personali e il desiderio di trovare le “anime gemelle” si può affievolire.

Ma quando un libro inizia così:


I – Oviedo

Immaginate strade polverose musicate dagli zoccoli dei cavalli. Cavalli forti e muscolosi che in corsa le attraversano, sollevando giallastre nuvole di suolo.
Immaginate le meraviglie di un viaggio, con le sue difficoltà. Immaginate una storia. La storia di due uomini.  
Una storia che ebbe inizio un giorno assolato, in una città nel cuore della regione delle Asturie.  
Due uomini che, incontratisi ad Oviedo, ed avendo pensiero comune, decisero di mettersi in viaggio per raggiungere Compostela, nella Coruña, quasi al confine con l’oceano Atlantico.  
Un viaggio per terra, a piedi, come solo si poteva concepire lo spostamento povero di chi non avesse con sé un asino, o un cavallo che fosse.

La via era impervia, da quel che si sentiva mormorare dagli abitanti della città. Pochi di loro l’avevano percorsa, quasi nessuno di coloro che erano in vita, ma parenti lontani, benché in sella non fosse poi così distante, forse una manciata di giornate appena. Era un po’ come addormentato, il Cammino, in quegli anni.  
Ludovico, nato a Verona, era un giovane italiano di 25 anni, alto, all’apparenza atletico, ma poco muscoloso e resistente alla fatica fisica. Si vantava di essere un intellettuale, mentre era difficile che riuscisse a venire a capo di qualcosa, seppur solo in campo teorico. Aveva una psicologia facilmente catalogabile, ma riusciva sempre a stupire l’interlocutore che credesse di averlo inquadrato. Si trovava in Spagna da diversi anni ed era arrivato ad Oviedo da un giorno.  
Martino, che sul finire dell’anno, proprio sull’addio al diciottesimo secolo, avrebbe compiuto 35 anni, era un uomo pacato, serio e dedito alla pratica manuale. Di statura non molto elevata, godeva di nervi e muscoli fatti per vivere nella natura. Aveva vissuto sempre lì, in un paesino ai margini della città di Oviedo, benché di origine italiano da parte di padre.

I due uomini si incontrarono davanti alla cattedrale del Salvador, senza scambiarsi parole, semplicemente riconoscendo, l’uno dell’altro, la potenzialità del pellegrino. Bordone e bisaccia, e quello sguardo non presente al mondo poiché rivolto all’interno, assuefatto dalla solitudine, dal non essere notato dalla gente; disincantato, seppur mosso da un incanto, un miraggio, forse, privo di effettive forme e contorni, che accende qualcosa dentro e seduce a partire, verso questo nome, Santiago, Santiago de Compostela, il cui motivo, bene, non si conosce.

Non è una storia di fede, o meglio non è una storia di religione; perché di fede, in effetti, si tratta. Fede in un universale, nella ricerca affannosa di afferrare il senso più profondo del divenire cosmico ed il ruolo di ciascuno in quel divenire; da esperire, questo, essendo avvolto dalla natura, da lei proteggendosi e in lei avanzando, passo dopo passo.  
Un viaggio per terra, dunque, calpestando qualunque personale certezza. Che cosa resta, mentre tutto cambia?
 
Noi che siamo “strani”, che siamo “oltre”, che siamo “creativi”, non possiamo non possederlo, leggerlo, amarlo e farne una delle tante nostre “bibbie”! 

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