mercoledì 6 gennaio 2016

Isola di San Giorgio - A cena con Tintoretto

mercoledì 6 gennaio 2016 - Sensi e sensazioni

Siamo su un’isola gioiello al centro del bacino di San Marco. Da qui si gode un panorama spettacolare e dal campanile (1791) lo sguardo si posa su tutta Venezia, sui suoi tetti, sulla laguna, sino ad arrivare alle dolomiti innevate.





L’isola fu di proprietà della famiglia patrizia dei Memmo (isola Mummia). Quando nell’VIII-IX secolo fu eretta una chiesetta in onore di San Giorgio il nome fu cambiato in isola di San Giorgio Maggiore (per distinguerla da San Giorgio in Alga).

Il monastero eretto dal monaco benedettino Giovanni Morosini, per lungo tempo fu centro spirituale e culturale. 
Nella seconda metà del ‘500 la chiesa e il maestoso refettorio, vennero ristrutturati da Andrea Palladio. All’interno sono custodite opere del Tintoretto, di Jacopo Palma il Giovane, di Sebastiano Ricci e del Carpaccio.
Il monastero sopravvisse finchè Napoleone non lo trasformò in un presidio militare; fu costruita una darsena (provvista di due torrette) e un magazzino e l’isola potè quindi diventare un porto franco.

Nel 1951, la Fondazione Giorgio Cini ebbe la possibilità di avviare un’opera di restauro dell’intera isola, dando vita ad un Centro di Cultura e Civiltà di altissimo livello.

Il Tintoretto (Jacopo Robusti 1519-1594) è stato uno dei più grandi esponenti della scuola veneziana e probabilmente l'ultimo grande pittore del Rinascimento italiano.

La pittura del Tintoretto attraverso le sue famose "ultime cene"
La corrente manierista comparve sulla scena artistica dell’Italia Centrale già nel 1520 per diffondersi poi al nord approdando a Venezia dove, un gruppo nutrito di artisti diede vita a questo linguaggio pittorico che mise in discussione molti aspetti dell’arte rinascimentale. I drammatici avvenimenti storici, quali ad esempio la calata dei Lanzichenecchi e i cambiamenti avvenuti in seguito alla Riforma di Lutero avevano fatto crollare gli ideali di stabilità ed equilibrio, lasciando spazio a crisi esistenziali che ogni autore esprimeva a seconda della propria sensibilità e cultura.
I pittori quindi aprirono un ventaglio di nuove possibilità di espressione, impensabili all’inizio del secolo, come ad esempio la scelta di colori contrastanti, a volte scurissimi altre squillanti, allungamenti iperbolici dei corpi, volumetrie esasperate, impostazioni spaziali arbitrarie, prospettive volutamente sfalsate e in ogni caso, tutto in contrasto con i canoni "assoluti" fissati dal Rinascimento.


Da questa “Ultima cena”, olio su tela di 366 x 570 cm, realizzata tra il 1592 ed il 1594, e dalla sua impostazione spaziale, traspare lo spirito “rivoluzionario” che rompe con la tradizione.
La tavola è posta in posizione diagonale e l’artista “gioca” con la prospettiva, tanto da far notare lo spostamento dell’asse, se si guarda dall’angolo destro o da quello sinistro.
Il dinamismo poi prosegue nell’impeto dell’agitazione degli apostoli, che sembrano gesticolare e parlare tra loro, e nell’improvviso arrivo dello stuolo di angeli che piombano all’interno della stanza. Lo stesso Cristo non è al centro, ma bisogna “cercarlo” in quella scena così dinamica e piena di contrasti fra cui la resa luminosa: quei particolari passaggi di luce e ombra, che aumentano il senso di drammaticità nell’atmosfera di una fumosa taverna.

Il confronto con la più popolare “Cena” di Leonardo, realizzata cento anni prima, in cui il Cristo è perfettamente in posizione centrale fra gli apostoli, in una composizione di armonia ed equilibrio, può far risaltare immediatamente la “rottura” con la tradizione. 

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