lunedì 5 agosto 2013

“Pd-Pdl, il cammino è in salita” di Elisabetta Gualmini


lunedì 5 agosto 2013 - Pensieri e parole da condividere

Non c’è nulla di cui stupirsi nella manifestazione di ieri del Popolo della Libertà.  

Il partito si è stretto intorno al leader azzoppato, sulla via dell’esilio, e ha celebrato insieme a lui una liturgia che contiene tutti gli elementi del mito fondativo. Gli slogan, le bandiere, le grida «Silvio Silvio», l’inno nazionale, molto azzurro mescolato al tricolore.  

Un popolo non giovane né immenso (come lo aveva dipinto Gasparri), ma certamente motivato, in una giornata di caldo insopportabile. In cui il curiale Bondi si conferma guerrafondaio e Cicchitto dà del cretino al sindaco di Roma.  

Mancava solo la nave da crociera delle regionali del 2000, che si fermava in ogni porto accolta da bande, majorette, mongolfiere, aerei e autobus-poster con su scritto Forza Italia Uguale Libertà. Ma erano altri tempi. 

Berlusconi ribadisce la sua innocenza e racconta per l’ennesima volta la «sua» storia, che è anche quella del «suo» popolo. Una narrazione che non cambia da 20 anni. Una narrazione che è anche identità. E senza racconto condiviso, non c’è identità. E senza identità non c’è nemmeno il partito.  

Il regime e la vittima. Berlusconi è la vittima di un golpe giudiziario messo a punto da una magistratura irresponsabile. Un gruppuscolo di impiegati che hanno fatto il compitino e si sono messi sotto i tacchi altri poteri dello Stato. La condanna passata in giudicato è l’atto finale di una persecuzione fuori dall’ordinario. Il suo essere vittima tra le vittime delle vessazioni di uno Stato arcigno e soffocante è un nodo centrale dell’ideologia berlusconiana (come ci racconta Orsina ne «Il Berlusconismo nella storia d’Italia»). Le inchieste giudiziarie sono la prova dell’opera di sopraffazione degli apparati pubblici sui cittadini. Nella «convinzione – dice Orsina - che una parte almeno della magistratura, trasformatasi nell’ennesimo clan italiano, corporativo e autoreferenziale, e stretta un’alleanza competitiva col “clan dei comunisti” abbia subordinato regole e istituzioni ai propri intenti particolaristici con lo scopo di far fuori i gruppi rivali».  

I buoni e i cattivi. Berlusconi rispolvera nell’occasione il populismo della discesa in campo. La sovranità appartiene al popolo e non alla magistratura. Un popolo che Berlusconi ama così com’è. Fatto di persone per bene, con la testa sulle spalle, abituate a fare. Senza troppe balle. Tutto il contrario dei professionisti della politica. Le fabbrichette al posto delle parolette. La dedizione al lavoro, continuamente frustrata dalla calunnia continuata senza costrutto dei politicanti. La missione è sempre questa. «Consacrare» la propria vita per diffondere il benessere. E frenare le derive anti-democratiche delle sinistre (al plurale). «Come quando stai partendo per un bel viaggio ma incontri qualcuno che ha bisogno e devi per forza fermarti». Anche dopo una rivoluzione liberale mancata, dopo promesse non mantenute ed elettori che si prosciugano da una elezione all’altra…  

E così, il partito si ritrova. Il popolo (che è rimasto) si galvanizza. D’altro canto al cuore non si comanda (Biancofiore) e il cuore viene prima della poltrona. Non c’è proprio nulla di cui stupirsi nella passione del Pdl per il suo leader. Perché il Pdl è il partito di Berlusconi. E non c’è da stupirsi che i dirigenti abbiano interiorizzato e comunque rilancino la stessa storia del capo-agnello-sacrificale-vittima delle toghe. Irritarsi o chiedere al Pdl di rinnegare Berlusconi non ha molto senso. Sarebbe come si fosse chiesto a un militante del Pci degli Anni 50 di rinnegare il marxismo-leninismo e la funzione guida del Pcus. Quando poi lo fanno i discepoli di Grillo c’è da sorridere. Pensare che le larghe intese e la pacificazione avrebbero cambiato tutto è una ingenuità.  

C’è da chiedersi semmai come facciano narrazioni così diverse della stessa storia, quella fondativa per il Pdl del leader vittima delle sinistre e quella altrettanto ovvia per il Pd dell’evasore fiscale conclamato, a stare insieme, nella stessa maggioranza di Governo, oltre all’esigenza di realizzare obiettivi davvero minimali. O come si possa pensare di mettere in piedi una riforma della giustizia, nel momento esatto in cui Berlusconi è tornato in guerra contro il regime. 
È questo quello che stupisce.  

La Stampa, 5 agosto 2013

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