giovedì 11 febbraio 2021

Getaria, testimone del tempo

martedì 28 giugno 2016 - Sensi e Sensazioni

Siamo sul Camino del Norte, verso Santiago, nella tappa che passa per questo carinissimo paese di mare, della provincia di Guipúzcoa, nei Paesi Baschi, circondato da colline di ordinati vigneti di Txakolí, un ottimo vino bianco che si ottiene da uve verdi di una certa acidità.

Quando l’arpione veniva ancora lanciato a mano, questi pescatori erano famosi per la caccia alla balena, e di quel tempo, restano ancora visibili le case medievali che accompagnano la lunga passeggiata dal porto, sino al faro. 

Getaria diede i natali a quel tal “Juan Sebastián Elkano”, comandante della “Victoria”, unica nave della flotta del portoghese Fernão de Magalhães (Ferdinando Magellano 1480-1521), che, al servizio della corona spagnola, era riuscita in un’impresa mai compiuta prima: viaggiando sempre verso ovest fino a raggiungere l’Est, e poi proseguendo nella stessa direzione, aveva realizzato un sogno vecchio come l’immaginazione umana: la prima circumnavigazione della Terra. Con questa impresa, la concezione occidentale dell’universo e della geografia, cambiò per sempre; provando fra l’altro in maniera inequivocabile che la Terra è rotonda, che le Americhe non fanno parte dell’India, ma sono un continente a sé stante, e che gli oceani coprono la maggior parte della superficie terrestre.

A lui e ai suoi 17 compagni, tra cui il vicentino Antonio Pigafetta, è dedicato il monumento che si staglia su una penisoletta, all’inizio del paese. 

 
Mi piace ricordarlo con un brano del libro “Oltre i confini del mondo” del grande storico e romanziere Laurence Bergreen: 
 
Il 6 settembre 1522 all’orizzonte del porto di Sanlúcar de Barrameda, in Spagna, apparve la sagoma di un vascello in rovina.

Man mano che la nave si avvicinava, la gente accorsa sulla banchina poté vedere brandelli di vele sbattuti dal vento penzolare dall’alberatura, sartiame marcio, colori sbiaditi dal sole e fiancate corrose dalle burrasche. Dal porto si staccò subito una pilotina che condusse lo strano vascello oltre il frangiflutti e fino al pontile. Fu così che i marinai addetti al rimorchio si trovarono faccia a faccia con l’incubo di ogni uomo di mare: dal parapetto di quel relitto si affacciavano i corpi scheletriti di diciotto marinai e tre prigionieri drammaticamente denutriti, molti dei quali senza nemmeno la forza di muovere un passo o di aprire la bocca per parlare, con la lingua gonfia e il corpo coperto di dolorose vesciche. Il capitano era morto, e così pure gli ufficiali di bordo, i nostromi e i piloti: l’equipaggio era praticamente decimato.

La pilotina trainò delicatamente il vascello fantasma oltre gli ostacoli naturali che chiudono l’ingresso al porto e la nave, la Victoria, scivolò lentamente lungo le dolci anse del Guadalquivir fino a Siviglia, la città da cui era partita tre anni prima. Da allora nessuno ne aveva saputo più nulla: proprio per questo la sua apparizione aveva così colpito quanti scrutavano l’orizzonte nell’attesa di veder comparire un qualche veliero. La Victoria era una nave del mistero: nelle teste ridotte a teschi che si affacciavano dalla balaustrata erano custoditi i mille oscuri segreti accumulati nel corso di un lunghissimo viaggio per terre e mari sconosciuti. Nonostante le avversità del viaggio, la Victoria e il suo sparuto equipaggio erano riusciti in un’impresa mai compiuta prima: viaggiando sempre verso ovest fino a raggiungere l’Est, e poi proseguendo nella stessa direzione, essi avevano realizzato un sogno vecchio come l’immaginazione umana: la prima circumnavigazione della Terra.

Tre anni prima la Victoria faceva parte di una flotta di cinque navi con un equipaggio di circa 260 marinai al comando di Fernão de Magalhães, che noi conosciamo come Ferdinando Magellano. Portoghese, nobiluomo e navigatore, Magellano aveva lasciato per sempre la sua patria per mettersi al servizio della Spagna, che gli aveva affidato l’incarico di esplorare parti del mondo ancora sconosciute e rivendicarne il possesso per la corona spagnola. Della spedizione affidata al suo comando, una delle più grandi e meglio equipaggiate di tutta l’Età delle grandi scoperte geografiche, rimaneva solo il relitto della Victoria col suo piccolo equipaggio sfinito: una nave fantasma carica degli spettri di più di 200 marinai che avevano fatto una fine orribile, morendo chi di scorbuto, chi di tortura, qualcuno, pochissimi, annegato in mare. Ma la cosa più grave di tutte è che il capitano generale della spedizione, Magellano, era stato brutalmente assassinato. A dispetto del suo nome beneaugurante, quindi, la Victoria non era affatto una nave trionfale: anzi, era un vascello carico di desolazione e d’angoscia.

Eppure, quale storia avevano da raccontare quei pochi sopravvissuti! Una storia di ammutinamenti e di orge su spiagge lontane, la storia dell’esplorazione del mondo intero, una vicenda che avrebbe cambiato il corso della storia e il nostro modo di vedere il mondo. Nell’Età delle grandi scoperte molte spedizioni finirono nel disastro e furono dimenticate in fretta: ma quella che stiamo per narrarvi, nonostante gli incidenti a non finire che le capitarono, sarebbe stata ricordata come il più importante viaggio via mare mai realizzato dall’uomo.

La circumnavigazione della Terra cambiò per sempre la concezione occidentale della cosmologia – cioè lo studio dell’universo e del posto che noi vi occupiamo – e della geografia; provando fra l’altro in maniera inequivocabile che la Terra è rotonda, che le Americhe non fanno parte dell’India, ma sono un continente a sé stante, e che gli oceani coprono la maggior parte della superficie terrestre. 

Quel viaggio servì a dimostrare definitivamente che, dopotutto, la Terra è un solo e unico mondo: ma anche che è attraversata da mille conflitti, e che gli uomini vi soffrono continuamente sia per cause naturali che per la loro stessa aggressività. Il costo di tutte queste scoperte, in quanto a perdita di vite umane e sofferenze patite, fu infinitamente maggiore di quanto si potesse immaginare all’inizio della spedizione. Quegli uomini erano sopravvissuti a un viaggio oltre i confini del mondo, ma soprattutto a una lunga peregrinazione nei più bui recessi dell’animo umano”.

 

 

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