giovedì 21 dicembre 2017

Guggenheim e Origin

venerdì 15 dicembre 2017 - Sensi e Sensazioni

Dan Brown si legge con piacere, ti tiene incollato alle pagine ed è uno degli scrittori che trasmette alle masse informazioni storiche e artistiche in maniera intelligente. Quando lo sfogli, devi ricorrere sempre a internet per informarti e saperne di più su tutti i luoghi che cita e inserisce nelle sue storie. 
A meno che... tu non l’abbia preceduto e allora è la tua memoria e il tuo archivio a completare quanto da lui sapientemente descritto.

Origin, la sua ultima creazione con le avvincenti avventure di Robert Langdon, è inizialmente ambientato a Bilbao e precisamente al Guggenheim, forse la più bella sede museale del mondo.

pag. 24 
"... Il museo sembrava frutto dell’allucinazione di un alieno: una dinamica aggregazione di forme metalliche ricurve che parevano essere state addossate l’una all’altra in maniera quasi casuale. La massa caotica di volumi che si estendeva nello spazio era rivestita da più di trentamila lastre di titanio che luccicavano come scaglie di pesce e conferivano alla struttura un’aria organica e al tempo stesso extraterrestre, come se un futuristico mostro marino fosse strisciato fuori dall’acqua per prendere il sole sulla riva del fiume.

Quando il museo era stato inaugurato, nel 1997, il “New Yorker” aveva osannato il suo progettista, l’architetto Frank Gehry, per aver creato “una fantastica nave dei sogni dalla forma ondulata, ammantata di titanio”, mentre altri critici sparsi per il mondo proclamavano entusiasti: “Il più grande edificio del nostro tempo!”, “Folle e geniale”, “Una sbalorditiva prodezza architettonica”...






pag. 25 
... quindi si accinse ad attraversare il lago tramite il ponte minimalista che descriveva un arco sopra la distesa di acqua immobile. Era arrivato solo a metà quando un violento sibilo, proveniente da sotto i suoi piedi, lo fece trasalire. Si fermò di colpo, un attimo prima che grandi volute di vapore cominciassero a gonfiarsi da sotto la passerella... La Fog Sculpture pensò Langdon. Aveva letto di quell’opera dell’artista giapponese Fujiko Nakaya. La “scultura di nebbia” era rivoluzionaria in quanto utilizzava come mezzo espressivo l’aria resa visibile, un muro di nebbia che si materializzava e col tempo si disperdeva; e poichè il vento e le condizioni atmosferiche mutavano da un giorno all’altro, la scultura era diversa ogni volta che compariva...
Fog Sculpture di Fujiko Nakaya



pag. 37 
... L’installazione era racchiusa in uno spazio concavo e buio ed era costituita da nove sottili nastri luminosi che spuntavano da fessure nel pavimento e scomparivano in altrettante fessure nel soffitto. Parevano dei tappeti mobili che si muovevano in verticale. Ognuno trasportava un messaggio illuminato che scorreva verso l’alto. 
“I pray aloud... I smell you on my skin... I say your name. “Prego ad alta voce... Sento il tuo odore sulla mia pelle... Chiamo il tuo nome”.
Avvicinandosi però, Langdon si rese conto che i nastri in realtà erano immobili: l’illusione del movimento era data da una “pellicola” di minuscole luci al LED disposte su ognuno.
Le luci si accendevano in rapida successione a formare parole che si materializzavano in basso, a livello del pavimento, correvano verso l’alto, e scomparivano nel soffitto.
“I’m crying hard...There was blood... No one told me. Piango disperatamente...C’era sangue...Nessuno me l’aveva detto”.
Langdon girò intorno ai fasci verticali, osservandoli con attenzione.
“Opera molto stimolante” affermò l’audioguida, tornando all’improvviso. “Si intitola Installation for Bilbao, ed è stata creata dall’artista concettuale Jenny Holzer. Consiste in nove insegne LED, alte tredici metri, che trasmettono messaggi in basco, spagnolo e inglese, tutti legati agli orrori dell’AIDS e al dolore di chi è rimasto”.

Langdon doveva ammettere che l’effetto era ipnotico e in qualche modo straziante...
Installation for Bilbao di Jenny Holzer



pag. 51
...un’audace contrapposizione di archetipi opposti. In natura, la vedova nera è una creatura spaventosa, un predatore che cattura le sue vittime nella tela e le uccide. Nonostante sia letale, qui è raffigurata con un sacco ovigero rigonfio, pronta a dare la vita, e questo la rende sia predatrice sia progenitrice... Un corpo grande posato su zampe sottilissime, che trasmette un’idea di forza e fragilità. Se vuole, Maman potrebbe essere definita il David dell’era moderna...
Maman, la scultura-ragno opera di Louise Bourgeois.







pag. 53

... ”Si chiama The Matter of Time” disse la voce gioviale di Winston, “La materia del tempo” è l’opera più pesante del museo. Più di mille tonnellate”... 
... Le luci aumentarono fino alla massima intensità, inondando lo spazio gigantesco di una luminescenza avvolgente, e Langdon non poté far altro che fissare sbalordito la scena davanti ai suoi occhi. 
“Sono entrato in un universo parallelo”...
The Matter of Time di Richard Serra



pag. 174
...”Il ponte della Salve di Bilbao attraversa il fiume Nervión così vicino al museo Guggenheim che spesso le due strutture paiono fuse assieme. Immediatamente riconoscibile dal particolare supporto centrale unico - un altissimo gigantesco pilone a forma di H pitturato di rosso -, il ponte deriva il nome dalla Salve Regina che, secondo la tradizione popolare, i marinai che tornavano risalendo il fiume recitavano come ringraziamento per essere arrivati sani e salvi a casa.”
Ponte Salbeko (della Salve)









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