martedì 9 maggio 2017 - Il mio cammino
Lasciata Villafranca, con un po’ di nostalgia per i bei monumenti, a 8,5 chilometri ci aspetta Trabadelo e, guardando verso il cielo, è d’obbligo tenere la mantella a portata di mano.
Il percorso si svolge parallelo all’autostrada e il rumore delle auto mi accompagna per diverso tempo. Sono a Pereje, un cimitero e un gruppo di case fatiscenti lo delimitano, sino ad arrivare a un bivio che divide la strada principale e il mio cammino verso Trabadelo.
Comincia a piovere e incontro un gruppo di cicliste che si prepara a indossare i K-Way.
Al bar “El Puente Peregrino” sono già bagnato fradicio, ma questo non mi impedisce di continuare per una interessante strada che darebbe il meglio di sè col sole.
Incontro pellegrini che si mimetizzano con la natura e il Rio Valcarce che scorre alla mia sinistra mi segnala che siamo in vista de “La Portela”.
Alcune chiesette, quasi tutte uguali, ma piacevoli esteticamente, mi invitano a varcarne la soglia per immortalare il loro interno e capire la devozione che via via si dipana su questo importante cammino.
Uno squarcio di sole a Vega di Valcarce, mi spinge a prendermi dieci minuti di sosta per un “zumo de naranca” e per far riposare lo zaino che sembra, come me, un po’ affaticato.
Sulla sinistra, guardando in alto, si possono vedere i ruderi del “Castillo de Sarracin” e il cartello recita:
”Sin que se sepa a ciencia cierta cuàl fue su origen, puede afirmarse que el Castillo de Sarracìn existe al menos desde el siglo XII. Lo atestigua el hecho de que entre las localidades recogidas en la guìa màs antigua escrita para el peregrino jacobeo aparezca Castrum Sarracenicum. Esta guìa, el Liber Sancti Iacobi de Aymeric Picaud, alumbrò en aquella centuria la ruta canònica del Camino de Santiago, la que desde tierras de Francia conduce hasta Compostela”.
A Ruteilan, un borgo che potrebbe essere interessante se non fosse sfregiato continuamente dai ponti autostradali, incontro un personaggio che mi lascia alquanto perplesso.
Una pellegrina di età indefinita, ma molto avanti, che, con passo lento, non tanto sicuro, ma continuo, sta arrancando su e giù per quei boschi che si alternano in questa frazione.
E mi vien da pensare che “non c’è mai fine per i sogni, le auguro di riuscire nel suo”!
A Terrerias, ecco nel prato un piccolo segno della devozione che aleggia in quest’aere: chiede spazio ai tuoi sogni, racchiusi in una frase lasciata al destino.
Sono a Hospital, il bosco si fa più fitto, lascio l’asfalto per un sentiero che mi porterà a La Faba. Ne approfitto per farmi un “selfie”, ma vengo sviato da un gruppo di cavalli guidati a scendere in grande difficoltà per le pietre su cui gli zoccoli scivolano. Li accompagno con lo sguardo e torno a salire.
La natura è meravigliosa e se il tirchio sole l’aiutasse, sarebbe stupenda. A La Faba, una vecchia chiesa ospita l’albergue per i pellegrini e, dopo una doverosa visita, mi affretto a ripartire perchè il cielo si fa sempre più buio.
Mancano pochi chilometri a O’Cebreiro, ma la pioggia, la stanchezza e un po’ la paura di non trovare posto a dormire, mi inducono a fermarmi a La Escuela, un albergue che mi permette anche di fare un po’ di bucato (chissà come asciugerà) e di riposar le stanche membra.
28,4 km percorsi.
28,4 km percorsi.
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