domenica 31 marzo 2013

"Stallo politico: ma quale realismo?" di Tomaso Montanari


domenica 31 marzo 2013 - Pensieri e parole da condividere

Nel cuore della notte della Resurrezione papa Francesco implora: «Non chiudetevi alla novità!».

Poche ore prima, un presidente quasi novantenne e sulla soglia del mandato insedia una specie di consiglio di reggenza, ignoto alla Costituzione, la cui unica missione è chiudere alla novità. A questo drammatico risultato ci trascina il cannibalismo del Caimano, l’incapacità suicidiaria del Pd, l’inadeguatezza di Grillo e dei 5 Stelle. Lo spiegava benissimo ieri Marco Travaglio: magari l’avesse scritto dieci o venti giorni fa.

Nessuno ha avuto il coraggio di fare un nome alto, di sinistra, noto ai cittadini e credibile agli occhi del Movimento che ha vinto le elezioni: un nome come quello di Stefano Rodotà, o uno paragonabile. Certo, per non più di un anno: per cambiare la legge elettorale, fare leggi contro la corruzione e il conflitto d’interesse, rappresentarci nell’emergenza europea. Un pio desiderio di intellettuali ingenui, si è detto: e allora prendiamoci ora la reggenza dei ‘saggi’. Dove la foglia di fico di Onida non riesce a coprire metà della vergogna. E intanto perdura il governo Monti: non sfiduciato, ma degno di nessunissima fiducia.

Siamo arrivati a questo stallo surreale grazie al «buon senso» e al «realismo».  Che coinciderebbero con un governo Pd-Pdl, e con l’idea di mandare al Quirinale un relitto ‘moderato e cattolico’ della cosiddetta prima Repubblica. 

Lo chiedeva ogni giorno il «Corriere della sera», lo pretendeva Mario Monti, lo insinuava l’archeologico Matteo Renzi (che ha rottamato Massimo D’Alema solo per dire, assai peggio, le identiche cose), lo dichiarava perfino Stefano Fassina, per il quale i voti della Lega (il partito anticostituzionale per eccellenza) non sarebbero poi da buttare.

Il «buon senso» e il «realismo» spingerebbero, dunque, ad affrontare questa crisi politica come se fosse una crisi parlamentare: sommando voti, riempiendo caselle, mettendo in piedi un governo fotocopia di quello Monti. E mescolando, anzi barattando, il piano delle riforme istituzionali con quello del governo. I nomi da ‘governo civico’ che filtrano sui giornali erano, al contrario, il sintomo di una perdita di senso della realtà, da liquidare con l’ironia machiavellica sull’ingenuità irresponsabile della ‘fantasia al potere’.

Ma di quale realtà parliamo? Di quella del Palazzo o di quella del Paese? Come è possibile non vedere che metà degli italiani (il 25 % che non  ha votato e il 25 % che ha votato i 5 Stelle)  ritiene di non avere più niente da perdere? Come è possibile continuare a parlare di ‘antipolitica’ di fronte a questa larghissima richiesta di una nuova politica? E fare ancora un governo mettendosi (in qualunque modo) d’accordo con chi ha precipitato il Paese in questo baratro sarebbe invece una forma di realismo? Cosa hanno di saggio Quagliarello o Giorgetti?

Gli italiani che hanno votato il Pdl rappresentano (anche anagraficamente) un’Italia che non è disposta a cambiare, un Paese immobile che sta divorando i suoi figli come Saturno. È realismo genuflettersi di fronte a tutto questo? Per difendere un immobile sistema di privilegi illegali, in un Paese votato al suicidio?

Questa visione si basa sull’assunto che l’esplosione del Movimento 5 Stelle sia una malattia da curare attraverso una tattica somministrazione di farmaci politici. Ma è questo assunto la vera perdita di contatto con il reale. Chiunque viva questo Paese, chiunque ne conosca i cittadini sa che, al contrario, quell’esplosione elettorale è il sintomo più evidente della malattia degenerativa di un Paese che agli occhi della metà dei suoi abitanti non sembra avere un futuro.

Il fatto che questa disperazione (non trovo altre parole) non abbia assunto forme distruttive, ma si sia potuta incanalare nella lista di Grillo offre ora la possibilità di un vero cambiamento. Come non vedere che un governo civico guidato e formato da personalità credibili agli occhi di questa parte del Paese (e ora del Parlamento) avrebbe avuto, e potrebbe avere ancora, la possibilità e la forza di avviare la rivoluzione necessaria, col sostegno della coalizione Italia Bene Comune e del Movimento 5 Stelle, che a questo punto non avrebbe più argomenti per ritrarsi dalla responsabilità?

Giuliano Ferrara ha detto che di fronte ad un governo Rodotà (o Zagrebelsky) si sarebbe suicidato. Invece ora è l’Italia è suicidarsi, grazie a Napolitano, Bersani, Berlusconi, Monti e Grillo.

Tutti insieme appassionatamente: pur di non aprirsi a nessuna novità.

Il Fatto Quotidiano, 31 marzo 2013

giovedì 28 marzo 2013

"Il tramonto degli esterni" di Michele Brambilla


giovedì 28 marzo 2013 - Pensieri e parole da condividere

Il governatore della Regione Sicilia Rosario Crocetta ieri ha cacciato in un colpo solo due assessori: il cantante Franco Battiato (Turismo) e lo scienziato Antonino Zichichi (Beni culturali). Le colpe del primo erano note a tutta Italia da parecchie ore.  

Aveva dato delle «troie» praticamente a tutte le parlamentari e forse anche ai parlamentari. Quelle di Zichichi le ha invece fatte conoscere Crocetta al momento del licenziamento: «Bisognava lavorare sodo e lui parlava di raggi cosmici». 

Ora, si sa che a Palermo hanno l’esonero facile. Ma se si esclude che il governatore della Sicilia sia stato contagiato dalla sindrome-Zamparini, il doppio benservito di ieri potrebbe essere letto come un segnale da non sottovalutare. E cioè: nel momento in cui anche Bersani, per cercare la benevolenza di Grillo e un po’ di tutto il Paese, insegue nomi ad effetto per alcuni ministeri, magari pescando nel giornalismo d’inchiesta e fra i predicatori, in Sicilia sperimentano che non basta essere persone note - e stimate nelle rispettive professioni - per essere buoni amministratori. 

Un anno e mezzo fa sembrava che per governare l’Italia bisognasse a tutti i costi essere dei «tecnici». Già Leo Longanesi, mezzo secolo prima, aveva ammonito a non farsi troppe illusioni, definendo così la figura dell’«esperto»: «È un signore che, a pagamento, ti spiega perché ha sbagliato l’analisi precedente». Usciti non troppo soddisfatti dall’esperienza del governo tecnico, adesso magari non cerchiamo più tanto «l’esperto» quanto «l’esterno». Personaggi da copertina, professionisti di successo o magari anche solo semplici cittadini (Grillo non aveva forse detto che se avesse vinto le elezioni avrebbe messo una mamma con tre figli al ministero dell’economia?): tutto va bene purché non si sia mai stati contaminati dal cancro della politica.  

Eppure basterebbe un po’ di sforzo della memoria per ricordare che quelli che oggi consideriamo «i soliti politici» vent’anni fa erano l’antipolitica dell’epoca. Forza Italia non era forse l’irrompere della società civile nel Palazzo? E la Lega non era «l’Italia che lavora», anzi che «laüra»? E Di Pietro? 

Ma ancora prima. La smania dell’«esterno» era già esplosa quasi quarant’anni fa, con Paolo Villaggio che si mise in lista per Democrazia Proletaria dicendo in un’intervista «è impossibile che io risulti eletto e se la cosa accadesse passerei subito il testimone a un altro», inaugurando così la figura del candidato alle dimissioni. E Ilona Staller? Vi ricordate Cicciolina? Ci fu una tristissima trasmissione post-voto in cui lei, eletta, sedeva accanto al povero Valerio Zanone, anziano liberale piemontese bocciato alle urne. «Ci battiamo perché la luce rossa diventi luce del sole», diceva la porno-innovatrice ispirata da Pannella. 

Abbiamo già dato, verrebbe da dire. Crocetta se n’è accorto in tempo rimandando a cantare (cosa in cui è eccelso) l’«esterno» Battiato, il quale nel frattempo stava già entrando nella parte, visto che ha cercato di smentire il suo discorso sul lupanare dicendo di essere stato frainteso, nel più classico stile del politico professionista. 

È un peccato, perché di un rinnovamento avremmo un bisogno vitale. Ma forse, da quarant’anni a questa parte, certi «esterni» i politici di professione li scelgono con cura, mettendoli in lista o nei posti di governo, al solo scopo di farsi rimpiangere. 

La Stampa, 28 marzo 2013


lunedì 25 marzo 2013

"Appello a Beppe Grillo e al Movimento 5 Stelle: se non ora, quando?"


lunedì 25 marzo 2013 - Pensieri e parole da condividere

Caro Beppe Grillo, cari amici del Movimento 5 Stelle,
Una grande occasione si apre, con la vostra vittoria alle elezioni, di cambiare dalle fondamenta il sistema politico in Italia e anche in Europa. Ma si apre ora, qui e subito. E si apre in questa democrazia, dove è sperabile che nessuna formazione raggiunga, da sola, il 100 per cento dei voti. Nessuno di noi può avere la certezza che l’occasione si ripresenti nel futuro. Non potete aspettare di divenire ancora più forti (magari un partito-movimento unico) di quel che già siete, perché gli italiani che vi hanno votato vi hanno anche chiamato: esigono alcuni risultati molto concreti, nell’immediato, che concernano lo Stato di diritto e l’economia e l’Europa. Sappiamo che è difficile dare la fiducia a candidati premier e a governi che includono partiti che da quasi vent’anni hanno detto parole che non hanno mantenuto, consentito a politiche che non hanno restaurato ma disfatto la democrazia, accettato un’Europa interamente concentrata su un’austerità che – lo ricorda il Nobel Joseph Stiglitz – di fatto «è stata una strategia anti-crescita», distruttiva dell’Unione e dell’ideale che la fonda.

Ma dire no a un governo che facesse propri alcuni punti fondamentali della vostra battaglia sarebbe a nostro avviso una forma di suicidio: gli orizzonti che avete aperto si chiuderebbero, non sappiamo per quanto tempo. Le speranze pure. Non otterremmo quelle misure di estrema urgenza che solo con una maggioranza che vi includa diventano possibili. Tra queste: una legge sul conflitto di interesse che impedisca a presenti e futuri padroni della televisione, della stampa o delle banche di entrare in politica; una legge elettorale maggioritaria con doppio turno alla francese; il dimezzamento dei parlamentari il più presto possibile e dei loro compensi subito; una Camera delle autonomie al posto del Senato, composta di rappresentanti delle regioni e dei comuni; la riduzione al minimo dei rimborsi statali ai partiti; una legge anti-corruzione e anti-evasione che riformi in senso restrittivo, anche aumentando le pene, la disciplina delle prescrizioni, bloccandole ad esempio al rinvio a giudizio; nuovi reati come autoriciclaggio, collusione mafiosa, e ripristino del falso in bilancio; ineleggibilità per condannati fin dal primo grado, che colpisca corruttori e corrotti e vieti loro l’ingresso in politica; un’operazione pulizia nelle regioni dove impera la mafia (Lombardia compresa); una confisca dei beni di provenienza non chiara; una tutela rigorosa del paesaggio e limiti netti alla cementificazione; un’abolizione delle province non parziale ma totale; diritti civili non negoziati con la Chiesa; riconsiderazione radicale dei costi e benefici delle opere pubbliche più contestate come la Tav. E vista l’emergenza povertà e la fuga dei cervelli: più fondi a scuola pubblica e a ricerca, reddito di cittadinanza, Non per ultimo: un bilancio europeo per la crescita e per gli investimenti su territorio, energia, ricerca, gestito da un governo europeo sotto il controllo del Parlamento europeo (non il bilancio ignominiosamente decurtato dagli avvocati dell’austerità nel vertice europeo del 7-8 febbraio).

Non sappiamo quale possa essere la via che vi permetta di dire sì a questi punti di programma consentendo la formazione del nuovo governo che decida di attuarli, e al tempo stesso di non contraddire la vostra vocazione. Nella giunta parlamentare si può fin da subito dar seguito alla richiesta di ineleggibilità di Berlusconi, firmata da ormai 150.000 persone : la fiducia può essere condizionata alla volontà effettiva di darvi seguito. Quel che sappiamo, è che per la prima volta nei paesi industrializzati e in Europa, un movimento di indignati entra in Parlamento, che un’Azione Popolare diventa possibile. Oggi ha inizio una vostra marcia attraverso le istituzioni, che cambieranno solo se voi non fuggirete in attesa di giorni migliori, o peggiori. Se ci aiuterete a liberarci ora, subito, dell’era Berlusconi: un imprenditore che secondo la legge non avrebbe nemmeno dovuto metter piedi in Parlamento e tanto meno a Palazzo Chigi.

Avete detto: «Lo Stato siamo noi». Avete svegliato in Italia una cittadinanza che vuole essere attiva e contare, non più delegando ai partiti tradizionali le proprie aspirazioni. Vale per voi, per noi tutti, la parola con cui questa cittadinanza attiva si è alzata e ha cominciato a camminare, nell’era Berlusconi: «Se non ora, quando?»

Remo Bodei 
Roberta De Monticelli 
Tomaso Montanari 
Antonio Padoa-Schioppa 
Salvatore Settis 
Barbara Spinelli 

La Repubblica, 25 marzo 2013


venerdì 22 marzo 2013

"M5S: cinque cose in cui i grillini sbagliano" di Andrea Scanzi


venerdì 22 marzo 2013 - Pensieri e parole da condividere

Due giorni fa ho elencato alcuni aspetti positivi dei parlamentari 5 Stelle. Oggi voglio sottolineare (almeno) cinque cose che non mi convincono.

Comunicazione. Ragazze e ragazzi, a volte sembra che lo facciate apposta. Il fascismo buono, i microchip cutanei, i Vendola finti, i portavoce in silenzio stampa (okay, erano “coordinatori della comunicazione parlamentare”, ma l’autogol resta). Ma che state a ddì? Capisco l’inesperienza. Capisco che tutti non aspettino altro, e che prima di voi non c’erano i Churchill ma i Razzi (e i Razzi ci sono ancora). Capisco tutto. E conosco molto bene i vostri numerosi pregi. Ma datevi una regolata. Se non avete una cosa da dire, non ditela. Se siete in debito di visibilità, scegliete contesti facili (inutile andare a La zanzara e poi lamentarsi di quanto sia cazzara La zanzara: è come tuffarsi nel mare e poi dire “Oh cavolo, mi son bagnato, quanto è stronzo ‘sto mare”). E se non siete ancora in grado di gestire il circo mediatico, lasciate che altri – più bravi e scaltri – parlino per voi. Pizzarotti a settembre se la prese con parte del pubblico del Fatto che lo contestò e mercoledì è stato impeccabile dalla Bignardi. Non si nasce imparati, e ha ragione Sergio Romano quando vi augura (come corso di formazione accelerato) due anni di opposizione perché impariate il mestiere.

Monologhi Stampa. Non è possibile convocare una conferenza stampa e poi esordire dicendo “Niente domande”, come ha fatto la Lombardi. In un paese normale, i giornalisti avrebbero dovuto mandarvi a quel paese (come troppo spesso fate voi) abbandonando la “conferenza” (pardon un monologo). Se dovete comunicare una cosa senza contraddittorio, mandate una mail o scrivete un post (in quello siete esperti, giusto?). In Italia c’è questa moda di accettare ogni ghiribizzo della “star”. Soprattutto in conferenza stampa. Esempio: quando Galliani presentò Balotelli, una giornalista Rai gli ricordò che Berlusconi lo aveva definito “mela marcia”. Galliani non solo negò l’evidenza, ma trattò male la giornalista (rea di avere ragione). I colleghi cosa fecero? Un po’ sghignazzarono e un po’ solidarizzarono (con Galliani, mica con la giornalista). Troppo spesso servi e meri reggitori di microfoni, gli scribi hanno pressoché dimenticato il gusto antico della decenza. Quella decenza che, con rispetto parlando, avrebbe imposto ai giornalisti di rispondere alla Lombardi: “Abbella’, se vuoi cantartela e suonartela da sola, noi togliamo il disturbo”. Le domande (anche quelle stupide e sbagliate) si accettano. Altrimenti non si fa politica.

Non siete Grillo. Cara Rostellato (che non hai salutato la Bindi e te ne sei vantata, salvo poi chiedere scusa) e caro Crimi (che hai detto in streaming che Grillo ha tenuto sveglio Napolitano): non siete il vostro leader (o megafono che sia). Grillo può permettersi molto, se non tutto: ha una carriera alle spalle, credibilità, talento. Se lui dice “Morfeo”, ha un senso (discutibile), ottiene uno scopo e crea la notizia. Voi, no. Apparite arroganti, malamente acerbi e facilmente attaccabili. Datevi una svegliata. E più umiltà: vi tocca crescere in fretta (e non vi daranno tempo).

Aritmetica. Non siete la prima forza del paese. Non lo siete al Senato, non lo siete (di poco) alla Camera. Il M5S ha fatto della “verità” una delle sue battaglie. Appunto: Pd 8.932.523, M5S 8.784.499 (alla Camera e comprensivi dei voti degli italiani all’estero). Non avete preso “più voti degli altri”. Finitela con questa bugia, che peraltro non serve a nulla.

Pragmatica. Il menopeggismo ha ucciso la “sinistra” italiana, e oltretutto è da dimostrare che i D’Alema siano poi così migliori dei Berlusconi. Il M5S ha avuto successo anche perché ha incarnato una terza strada, adatta a chi non potrebbe mai votare questo centrodestra ma al tempo stesso trova che il centrosinistra (spesso, non sempre) sia un’accozzaglia incapace e tristemente comica. Siamo d’accordo. E capisco anche il desiderio di essere “oltre” e “diversi”. Va bene. Io però sono abituato a giocare con le carte che ho in mano (e con quelle che vedo in tavola). Non giriamoci troppo attorno. Al netto delle schermaglie, e mentre il paese muore, le strade sono solo tre: si torna rapidamente al voto (non lo vuole nessuno, men che meno con il Porcellum); si fa un inciucio Pd-Pdl, magari con il neo-intoccabile Grasso (piacerebbe a Berlusconi, a qualche tattico cinico del M5S e pure ai dalemiani, ma porterebbe alla morte del Pd); oppure si cerca – magari dopo l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, lasciando nel frattempo Monti come prorogatio fino ad aprile/maggio – una figura realmente esterna. Non Bersani o Grasso (macché), ma un altro. Uno Zagrebelsky, un Rodotà (o altri che al momento non dico). E ci si accorda su un governo “a tema” che operi insieme, centrosinistra e M5S. Un anno o giù di lì. Poi di nuovo al voto, nemici come prima. So bene che la maggioranza dei votanti M5S sia ortodossa eduropurista; non ignoro che il centrosinistra sia quel che è; e so pure che al momento il M5S stia semplicemente rispettando il proprio programma (formalmente non c’è nulla da eccepire). Eppure, mai come oggi, si scorge la possibilità di sconfiggere definitivamente Berlusconi e di contribuire a creare qualcosa di realmente positivo. Accordarsi (con tanto di fiducia: se non c’è quella, non esiste nessuna legge da “approvare caso per caso”) con il centrosinistra non significa amnistiarlo delle colpe infinite di questi venti anni. E neanche vuol dire sposarlo per sempre. Vuol dire avere il senso dello Stato, delle cose, del presente. Dire “no” adesso ha un senso. Dirlo sempre e a prescindere è una forma di integralismo cinico, sperando nell’inciucio altrui per poi dire “Visto? Noi siamo più fighi”. Di più: è una forma di masturbazione adolescenziale. Null’altro che bimbominkismo politico (spiacenti, non è il mio genere). Se vi mostrerete ricettivi alle (eventuali e non scontate) sirene sincere del Pd, dimostrerete acutezza e maturità; se vi trincererete dietro il “O noi o morte”, la Casta avrà buon gioco a dire che è tutta colpa vostra e siete solo degli sfascisti irresponsabili. 

Provate a costringere il Pd a fare qualcosa di buono, come in Sicilia: se poi il Pd deluderà un’altra volta, e non si scorgeranno Crocetta benemeriti, si andrà al voto. Chiamandovi anzitempo fuori, consegnerete un’altra volta il Pd al Pdl: forse (forse) guadagnerete un po’ di campagna elettorale, ma il paese si sfascerà definitivamente.

Avete preso troppi voti e non vi aspettavate così tante responsabilità? Sì. Comunque vi muoverete, vi attaccheranno? Yes. E’ un gioco troppo difficile e cattivo? Oui. Ma siete stati voi a voler giocare. Ecco: è il momento. E “rendicontare anche le caramelle” non basta. Non adesso.

Il Fatto Quotidiano, 18 marzo 2013

giovedì 21 marzo 2013

L’ultima Thule


giovedi 21 marzo 2013 - Sensi e Sensazioni

E’ un'isola divenuta leggendaria citata per la prima volta nei diari di viaggio dell'esploratore greco Pitea, salpato da Marsiglia verso il 330 a.C. per un'esplorazione dell'Atlantico del Nord. Parla di Thule come di una terra di fuoco e ghiaccio nella quale il sole non tramonta mai.

Nel corso della tarda antichità e nel medioevo il ricordo della lontana Thule ha generato il mito: quello dell'ultima Thule, come definita dal poeta latino Virgilio nel senso di estrema, cioè ultima terra conoscibile, e il cui significato nel corso dei secoli trasla fino a indicare tutte le terre "aldilà del mondo conosciuto".

Ognuno in cuor suo ha la sua Thule, un posto in fondo al mondo quotidiano, dove seppellire ansie, problemi, e paure trascinate nel tempo.
Un posto dove ancora incontrare la voglia di sorprendersi, di stupirsi anche per un solo attimo, un posto che ci protegga e ci culli sino all’oblio.








Einstein travestito da ubriacone 
ha nascosto i suoi appunti in un baule 
è passato di qui un'ora fa 
diretto verso l'ultima Thule 
(Via della povertà di Fabrizio De Andrè - 1974)


E qui da solo penso al mio passato, 
vado a ritroso e frugo la mia vita, 
una saga smarrita ed infinita 
di quel che ho fatto, di quello che è stato.
Ma ancora farò vela e partirò 
io da solo, e anche se sfinito, 
la prua indirizzo verso l'infinito 
che prima o poi, lo so, raggiungerò.
(L’ultima Thule di Francesco Guccini - 2013)

Portogallo - Cabo de São Vicente


martedi 15 agosto 2006 - Quattro passi per l’Europa

Vista dal Cabo de São Vicente verso nord
E’ un capo all'estremità sud occidentale del Portogallo. Pur non rappresentando il punto più a ovest della penisola iberica, costituisce l'ultima propaggine dell'Algarve di fronte all'Oceano Atlantico.
Con le sue scogliere verticali alte fino a 75 metri ha sempre rappresentato un punto di riferimento per i naviganti e sulla sua sommità ospita un faro costruito nel 1846.
Il capo si trova a 37° 1' 30" di latitudine nord e a 8° 59' 40" di longitudine ovest.

Menzionato dal geografo greco Strabone nell'antichità come fine della terraferma conosciuta, il capo fu in realtà abitato fin dal Neolitico e oggetto di particolare devozione (menhir). Dai greci fu chiamato Ofiussa (luogo dei serpenti), mentre dai romani Promontorium Sacrum. Solo più tardi fu dedicato a San Vincenzo di Saragozza, patrono dei marinai, il cui corpo martoriato si sarebbe arenato, secondo la leggenda, nei pressi del capo.










Portogallo - Cabo da Roca


martedi 15 agosto 2006 - Quattro passi per l’Europa

Fa parte del comune di Sintra ed è situato a 140 metri sul livello del mare.
Il poeta Luís Vaz de Camões definì questo luogo come “Qui... dove la terra finisce e il mare comincia”. Questa frase è incisa sulla lapide del monumento in pietra che celebra la particolarità del luogo. Infatti, essendo situato a 38° 47' di latitudine nord, e a 9° 30' di longitudine ovest, è il punto più occidentale del continente europeo.






Portogallo - Sintra


martedi 22 agosto 2006 - Quattro salti per l’Europa

E' un luogo da non perdere ad appena 20 km da Lisbona. Vi si trovano numerosi palazzi curiosi e straordinari, tra i quali i tre palazzi nazionali: Palazzo Real, il cui nucleo centrale gotico risale al XIV secolo, il Castello do Mouros costruito dagli arabi nel VIII secolo e il curioso Palazzo da Pena in cui sono presenti tutti gli stili architettonici, dal moresco al gotico, dal manuelino al barocco. 






lunedì 18 marzo 2013

"Grillo, i massimalisti e i dissident"i di Andrea Scanzi


lunedì 18 marzo 2013 - Pensieri e parole da condividere

Il post di Beppe Grillo, “Trasparenza e voto segreto”, è davvero orrido. Un post rancoroso e bilioso. In un podio degli harakiri grillati, sta dietro  al “Fuori dalle palle” e al dialogo sin troppo conciliante con il tizio di Casa Pound. Ma il terzo posto se lo merita.

Eh, ma le regole. Il M5S, essendo una forza che raccoglie tutto e il suo contrario, è ora scosso dalla lotta tra massimalisti e riformisti. I primi, anche detti ortodossi o integralisti, stanno con Beppe Grillo (e probabilmente sono la maggioranza: non applicate al M5S gli schemi mentali della sinistra. Se valessero, i grillini avrebbero votato Pd o Sel. E invece). Gli altri solidarizzano con i “dissidenti” che hanno votato Grasso. E’ vero che ci sono delle regole. E’ vero che i parlamentari le hanno accettate. E’ vero che in ogni forza politica c’è un ordine dall’alto. Ed è vero che la maggioranza aveva detto di votare scheda bianca. Ma esistono due cose che soltanto la mancanza totale di buon senso può non considerare: 1) la particolarità del momento storico, 2) la libertà di coscienza (in certi casi).

Mi spiego meglio. Grillo sta serrando le fila. Ha paura che il centrosinistra circuisca qualche grillino e teme che il suo movimento sia cresciuto troppo in fretta (infatti è così: paradossalmente ha preso “troppi” voti). Okay. Ma il pugno duro, e i post epureggianti da ducetto, sono fastidiosi. Molto. Chi ha votato Grasso lo ha fatto perché desiderava evitare la nuova elezione di Schifani (ahhhhhh) e perché aveva applaudito la Boldrini. Se quei senatori avessero votato contro la legge sul conflitto di interessi o contro l’abbattimento dei costi della politica, avrebbero meritato l’accusa di scilipotismo. Qui però c’era un ballottaggio senza vie di fuga. Quando i senatori siciliani hanno affermato che “se vinceva Schifani non ci facevano neanche rientrare in Sicilia”, hanno detto una grande verità. Avrei votato come loro.

Mi spiego meglio (2). Grillo deve imparare che la situazione del paese non consente la (coerentissima) linea del “duri e puri”. C’è un paese che va in rovina. E c’è un centrodestra terrificante. D’accordo, non è certo colpa del M5S (anche se la tattica della Casta è far cadere ogni colpa sulla loro irresponsabilità). D’accordo, anche il centrosinistra è correo. Ovvio. Il “tutti a casa” era esplicito, il “meno peggio” un ragionamento irricevibile (per chi vota M5S) e il loro sogno resta sostituire i politici professionisti con dei semplici cittadini. Ma i distinguo, adesso, non si possono non fare. Basta con queste logiche da tifoso curvaiolo. Se entri in politica, ti devi sporcare (anche se la sola idea imbarazza e qualche voto lo fa perdere). Votare Grasso non significa allearsi col Pd, appoggiare un governo Bersani o sconfessare se stessi. Vuol dire semplicemente preferire una persona (votabile) a un’altra (non votabile). E’ un atto di maturità, non una concessione alla casta. 

Pensate se. Pensate se Grillo (e Casaleggio) non avessero scritto nulla. Il M5S sarebbe passato per la forza che è: un movimento che discute, che si scazza e che poi vota secondo regole e coscienza. Invece, con quel post, si rilancia l’idea di un esercito di Ambra Angiolini al soldo del Tandem Boncompagni 2.0. Una tesi che va bene se ascolti Vittorio Sgarbi, ma che nel mondo reale fa ridere (basta conoscere il lavoro del M5S nei comuni e Regioni in cui operano egregiamente).

Epurazioni. Leggo quasi ovunque che Grillo ha proposto l’espulsione per i dissidenti, rifacendosi al Codice di Comportamento. Lo ha mai scritto? No. Grillo ha parlato di “trarre le conseguenze”. Se è stata una sboronata per ricordare che il Movimento deve restare compatto e resistere alle sirene del Pd, il modo fa un po’ schifo ma l’obiettivo è comprensibile. Se invece Grillo vorrà davvero epurarli (e non credo che avverrà), il suicidio sarà totale. 

Il Codice. Giova sottolineare come l’espulsione non spetti a Grillo o Casaleggio, ma ai parlamentari (fase uno) e poi a tutti gli iscritti (fase due). Nello specifico: “I parlamentari del M5S riuniti, senza distinzione tra Camera e Senato, potranno per palesi violazioni del Codice di Comportamento, proporre l’espulsione di un parlamentare del M5S a maggioranza. L’espulsione dovrà essere ratificata da una votazione on line sul portale del M5S tra tutti gli iscritti, anch’essa a maggioranza”. Nulla accadrà se la libertà di voto dei “dissidenti” non verrà ritenuta “palese violazione del Codice di Comportamento” (e infatti non lo è). Discorso diverso per delle eventuali dimissioni dei vari Giuseppe Vacciano, su cui forse sperano (sbagliando) Grillo e Vito Crimi (che ha cambiato due versioni tra sabato e domenica).


Ma quelli come te si son pentiti di averli votati? Macché. Per niente. L’ho votato e lo rivoterei (segnalo che i sondaggi lo danno al 29%: io, tutta questa erosione di consenso, la vedo solo nei sogni erotici di Gad Lerner). Pregi e difetti sono cristallini. Da sempre. Se uno dovesse votare solo chi non ha difetti, non voterebbe nessuno (se non a volte se stesso). Senza M5S avremmo le Alba Dorata. Senza M5S, il Pd avrebbe eletto Franceschini e Finocchiaro. Senza M5S, non ci sarebbe un pungolo democratico che costringe la Casta a essere (o fingersi) meno peggio di quello che è. Il M5S è un virus benefico e gli effetti positivi già si scorgono: farà errori, ma le anomalie democratiche sono altre. E il Pd resta (ancora) il partito dei tafazzi arroganti e degli statisti presunti. Una Boldrini (sorry) non fa Primavera. 

E Grillo? E Casaleggio? Senza di loro non esisterebbe il M5S. Dire di stimare il movimento ma di odiare Grillo è come amare gli Stones ma detestare la voce di Jagger. La capacità di Grillo di catalizzare democraticamente la rabbia degli italiani resterà meritoria. Pensate a una politica senza M5S: avremmo dovuto scegliere soltanto tra Berlusconi, Bersani e Monti. Prospettiva terrificante. Purtroppo, quando a Grillo parte l’embolo, è indifendibile. Sabato è successo. O Grillo impara l’arte del dubbio, o (per lui, ma anche per noi) è un casino.

E ora che si fa? Non si fa niente. Boldrini e Grasso sono bei nomi, ma nulla cambia. Il M5S non darà la fiducia e l’unico governo possibile è un Pd più Pdl (non considero l’ipotesi Pd più Lega più Monti). La legislatura, verosimilmente, durerà poco. Il Pd sta più che altro operando per riconquistare elettori in vista della prossima elezione, dimostrandosi sveglio e giovane (ovvero ciò che non è stato per 20 anni). Il maquillage, voluto da Civati (tra i pochi realmente bravi) e altri, serve a isolare le Bindi e i Boccia; a disinnescare Renzi (che rosicherà oltremodo da sabato); e a depotenziare il M5S. Non è in gioco questa legislatura, quanto la prossima (e sabato la mossa del cavallo ha funzionato).

Quirinale. I volti del centrodestra, dopo l’elezione di Boldrini e Grasso, erano meravigliosamente funerei. Che spettacolo (e che vergogna non alzarsi quando si è alluso all’antifascismo). Alfano, col suo carisma da frassino sprovvisto di fotosintesi clorofilliana, ha detto che appoggerà un governo Bersani se gli regaleranno il Presidente della Repubblica e risolveranno l’economia (come no). Un’ipotesi, secondo Bersani, impensabile (quindi possibilissima). Grillo teme invece un’elezione di D’Alema al Quirinale. In entrambi i casi, scenari al cui confronto l’apocalisse è un happy hour. L’elezione del successore di Napolitano sarà uno snodo chiave. Questo centrodestra va definitivamente sconfitto. E questo centrosinistra deve dimostrare di non volersi fermare alle (belle) trovate estemporanee. 

Speranze. 1) Un bel Presidente (tipo Rodotà), 2) una nuova legge elettorale. Conoscendo i politici italiani, mi accontenterei del primo punto. Con i voti anche del M5S.

Il Fatto Quotidiano, 18 marzo 2013

venerdì 15 marzo 2013

Marrakech e le concerie


18 maggio 2012 - Sensi e Sensazioni 

Si trovano ai margini della Medina e non è facile arrivarci, specialmente quando ci si vuole muovere da soli. Sembra però che solo il pensiero di una visita, riesca in qualche modo a far materializzare una guida, che per noi è un ragazzo che, vedendoci tentennanti sulla direzione da imboccare, ci fa presente che lui abita proprio vicino a dove siamo diretti e nonostante la nostra riservatezza e la bocca cucita dall’esperienza, ci accompagnerà, di sua sponte, sino alla meta.

L’infernale posto, che ci si para davanti, lascia perplessi sulla sua gestione: è difficile capire se effettivamente sia un tradizionale, anche se insopportabile, posto di lavoro o venga gestito come incanto turistico pieno di affascinante repulsione e di sconcertante vitalità.
Sembra che gli artigiani altamente specializzati che lavorano in queste concerie vivano, quasi letteralmente, ai margini della società, svolgendo un mestiere che si tramanda di generazione in generazione e che abbiano guadagnato, sia loro che i loro manufatti, fama internazionale.

Intanto il nostro caronte, come apparso, così si dilegua, senza aspettare alcun ringraziamento o riscontro in vil moneta, forse ben sapendo che la curiosità non ci farà demordere dall’inoltrarci, o forse, per un gioco di staffetta, perchè ha già concordato con un complice il nostro affido. 

Ed ecco infatti, materializzarsi un singolare personaggio che già ci aspetta con il suo bel mazzolino di menta, sotto l’arco dell’ingresso. 
La menta, che noi baldanzosi rifiutiamo, per poi, subito entrati pentircene, dovrebbe in qualche modo proteggere le nostre delicate narici dai miasmi e dal tanfo che esala, ma noi imperterriti e baldanzosi cerchiamo di soffocare respirando al limite delle necessità umane.

La guida ci fornisce la spiegazione di quanto succede o dovrebbe succedere in quel piccolo mondo in cui ci siamo ritrovati. Il trattamento è un procedimento lungo 20 giorni, rimasto pressoché invariato dal Medioevo: si scuoiano mucche, capre, pecore e cammelli e le pelli vengono poi poste in una vasca di acqua e sangue, per rinforzarle. 
Vengono poi immerse nell'urina degli animali e nel guano dei piccioni per ammorbidirle. I conciatori lavorano immersi nelle vasche dei colori naturali; per il giallo si usa lo zafferano, per l'azzurro l'indaco e per il rosso i papaveri. Infine, le pelli sono lasciate asciugare al sole per poi essere trasformate in borse, pouf, sandali o tipiche babbucce a punta.

Certo è che all’uscita, nonostante le continue insistenze del nostro accompagnatore, è lungi da noi la voglia di fermarsi nelle piccole bottegucce che affiancano la zona. Il tanfo di cui siamo impregnati e che ci accompagna ci spinge ad allontanarci velocemente da quella interessante, profonda, ma sconvolgente esperienza, meglio ritrovare quei vari e improbabili manufatti, da normali turisti, tra i più invitanti profumi di spezie e fiori, negli innumerevoli negozi e sulle bancarelle che affollano i souk e tutta la città.



















giovedì 14 marzo 2013

"Francesco, il segno di una svolta" di Andrea Tornielli


giovedì 14 marzo 2013 - Pensieri e parole da condividere

Un candidato neanche tanto nascosto, c’era. Solo così si spiega la rapidità di un Conclave che ha avuto quasi gli stessi tempi di quello di Ratzinger, senza Ratzinger.  

Era quello che prendendo la parola in presenza dei colleghi porporati, la scorsa settimana, aveva fatto l’intervento più breve, senza consumare i cinque minuti di tempo consentiti. E che aveva parlato col cuore di una Chiesa capace di mostrare il volto della misericordia di Dio. L’elezione di Jorge Mario Bergoglio, primo Papa gesuita e latinoamericano della storia della Chiesa, primo Papa ad assumere il nome di Francesco, ha sorpreso molti. Sembrava che i cardinali cercassero un Papa giovane, ne hanno eletto uno di 76 anni. Sembrava che dovessero scegliere un «governatore» per la Curia romana, hanno scelto uno dei porporati più lontani dal carrierismo, dai giochi, dalle cordate curiali.  

L’elezione di Francesco è il segno di una svolta. Non era mai accaduto nella storia recente della Chiesa che venisse eletto il secondo arrivato del precedente conclave, né che un Pontefice, affacciandosi per la prima volta al balcone di San Pietro, prima di benedire i fedeli, chiedesse ai fedeli una preghiera e una benedizione per lui. 

Bergoglio ha sempre denunciato, negli anni scorsi, il rischio per la Chiesa di essere autoreferenziale: «Se la Chiesa rimane chiusa in se stessa, invecchia. E tra una Chiesa accidentata che esce per strada, e una Chiesa ammalata di autoreferenzialità, non ho dubbi nel preferire la prima».  

Certo, la sua designazione va nella direzione che è emersa in questi giorni, nelle congregazioni generali: una riforma della Curia, una maggiore collegialità, evitare che si ripetano gli scandali degli ultimi anni. Ma anche se è facile prevedere passi in questo senso, la priorità, per tutti gli elettori, è stata quella di eleggere un uomo di Dio, innanzitutto un testimone. Anche la scelta di apparire al balcone accompagnato dal Vicario di Roma, il cardinale Agostino Vallini, e l’insistenza con cui ha sottolineato il legame di vescovo con la diocesi della Città Eterna, è un segnale importante. Il segnale di un pontificato che sottolinea innanzitutto il legame con la Chiesa locale, quello del pastore con il suo popolo. 

Non è facile fare previsioni sulle scelte future del nuovo Papa. Su chi sceglierà di portare alla Segreteria di Stato, su come intende affrontare il tema della trasparenza finanziaria e i problemi dello Ior, su quali decisioni prenderà dopo aver letto, con dolore, le pagine del dossier di Vatileaks. Ma fin dal nome e dallo stile umile del suo primo presentarsi ai fedeli, alla Chiesa e al mondo, ieri sera è stato possibile comprendere a tutti che questa istituzione con duemila anni di storia sulle spalle, ancora una volta ha saputo rinnovarsi e stupire. 
Un gesuita sceglie il nome francescano, sceglie di chiamarsi come il grande Santo italiano, il grande riformatore della radicalità del Vangelo, è un segno di speranza e un invito al cambiamento per la Chiesa tutta. 

La Stampa, 14 marzo 2013

martedì 12 marzo 2013

"Indignados in doppiopetto" di Massimo Gramellini


martedì 12 marzo 2013 - Pensieri e parole da condividere

Si fa presto a dire Sudamerica. Certe cose non succedono più nemmeno lì.  

Sembra l’ultima scena del «Caimano» ma senza il Caimano, impegnato a recitare Polifemo in una fiction sulle visite fiscali. O forse è un cinepanettone fuori stagione, «Ultime vacanze a Bananas», con Danny De Vito nei panni stropicciati di Scilipoti e l’inimitabile Santanché nel ruolo di se stessa.  

La storia di 150 parlamentari, eletti per ridurre le tasse ai lavoratori e restituire l’Imu ai pensionati, che invece marciano compatti sotto un tribunale della Repubblica.  

Pur di rivendicare l’impunità del proprietario del loro partito, contrabbandata per emergenza nazionale.  
Mi piacerebbe conoscere il parere di chi li ha votati. Immagino che avrebbe preferito vederli manifestare davanti a una fabbrica chiusa o a un ufficio di Equitalia fin troppo aperto. Il destino personale del Divo Silvio toglierà forse il sonno alla famosa casalinga di Retequattro, ammesso che esista, ma agli altri? Quelli che lo hanno scelto perché le alternative erano Monti e Bersani potranno anche non andare pazzi per i metodi della Boccassini, ma si identificano davvero nella parabola giudiziaria di un singolo uomo e nella rabbia obbediente dei suoi centurioni? Se è così, siamo perduti. Se un terzo abbondante del nostro Paese è seriamente convinto che il problema più importante, il primo di cui occuparsi, non sia il lavoro che latita o la corruzione che esagera ma l’iter processuale di Berlusconi, significa che stiamo smarrendo la speranza: non di formare un governo, ma di rifondare una comunità. 

Non so se sia vero che il Capo aveva sconsigliato la marcia dei suoi indignados in doppiopetto sotto il Palazzo di Giustizia. A occhio (l’altro, naturalmente), sembrerebbe la classica pantomima padronale a cui ci ha abituato da vent’anni: io non volevo, ma loro mi hanno disobbedito per troppo amore. Chiunque abbia cercato di dissuadere i berluscones da questa piazzata ne aveva però visto le conseguenze politiche irreparabili. Adesso chi accetterà di votare un governo, ma anche un Presidente della Repubblica e una legge elettorale, insieme con dei parlamentari che sono entrati in massa dentro il tribunale di Milano e si sono messi arrogantemente in posa sotto la foto di Falcone e Borsellino? Come puoi giocare a calcio con uno che ti urla in modo intimidatorio che l’arbitro è venduto?  

Le immagini di Brunetta e Scilipoti in occhiali da sole sui gradini del tribunale simbolo di Tangentopoli hanno fatto il giro del mondo e sono tornate qui, sotto i nostri sguardi sgranati. Fra due settimane toccherà ai parlamentari di Grillo marciare in Valle di Susa al fianco dei No Tav. La motivazione è diversa e più nobile (non foss’altro perché riguarda un interesse collettivo e non individuale), ma resta il fatto che due dei tre gruppi più folti del Parlamento si scagliano in massa come falangi nei punti caldi dell’Italia smarrita, dilatando mediaticamente lo scontro sociale anziché tentare di ricomporlo nel luogo deputato, per frequentare il quale erano stati votati. E il Pd si ritrova sul campo da solo, diviso come sempre in due squadre che giocano a chi fa più autogol. 

La Stampa, 12 marzo 2013

lunedì 11 marzo 2013

Bergamo


domenica 3 marzo 2013 - Andar per Città

Nella limitata estensione della piccola città alta è racchiusa la maggior parte del patrimonio monumentale e artistico. La cerchia delle mura veneziane del ‘500 delimita questo spazio così ricco di storia e di testimonianza del passato. Tutto è da vedere, cogliendo la suggestione del centro storico e dei suoi monumenti, le luci e le atmosfere di piazza Vecchia, le bellissime viste della Torre Civica, della Rocca e della Torre di Gombito. Gli antichi percorsi e l’inconfondibile skyline di torri, cupole e campanili incombono con la loro ombra su vie e vicoli medievali, mentre si va alla scoperta di angoli molto suggestivi.