giovedì 19 settembre 2013 - Pensieri e parole da condividere
Vi suggerisco di fare questa prova. Andate per strada, fermate un passante e fategli questa domanda: “Scusi, secondo lei è giusto che un condannato, in via definitiva, sieda ancora in Parlamento?”. Almeno uno su sei risponderà: “Ma scherziamo? Ovviamente no!”. “Chiunque sia?”. “Chiunque sia”.
Fine dei giochi.
Il fatto che le prime pagine dei giornali, le homepage dei siti di informazione, i titoli dei telegiornali, siano occupati da giorni (tranne una piccola pausa dedicata alla Concordia) da “voto palese o voto segreto”, dai tempi e dalle scelte della Giunta per le elezioni e le immunità del Senato, dalle dichiarazioni di Augello o Stefàno, è un’altra delle inspiegabili storture di questo Paese.
Sarebbe bello testare il livello di interesse che temi così suscitano nelle persone in fila per un posto di lavoro o in cassa integrazione.
Non c’è solo uno scollamento tra la classe politica e il Paese reale. C’è uno scollamento tra chi sui giornali ci scrive e chi li legge.
Buon per loro. Evidentemente non devono guardare con terrore la cassetta della posta temendo una bolletta non prevista. Non devono stare attenti a non farsi male perché ogni spesa medica in più non si può affrontare. Non guardano con paura l’arrivo del Natale e si domandano con enorme vergogna cosa regaleranno ai loro figli.
E, in più, devono anche affrontare l’invisibilità. Non si parla di loro. Delle loro vite.
Pubblico una mail che mi è arrivata (qualcuno l’ha già pubblicata) che chiede proprio questo: parlate di noi. Non fateci sparire. L’hanno scritta degli operai di Civita Castellana (in provincia di Viterbo).
“Ciao a tutti, siamo un gruppo di ceramisti del distretto di Civita Castellana, sulla via del licenziamento, che dopo aver letto le opinioni sui giornali e sentito un po’ tutti (sindacati, imprenditori, assessori vari, ecc.) abbiamo deciso di dire qualcosa anche noi, di raccontarci, di esprimere il nostro disagio, attraverso una speranza. Innanzitutto ci scusiamo se questa nostra lettera, non è scritta in italiano corretto, ma siamo soltanto operai ceramisti, non professionisti nello scrivere e nel parlare. Dicevamo dunque di una nostra speranza, si, la speranza di SOLIDARIETA’.
Del macellaio sotto casa, perché se noi verremo licenziati e non potremo più permetterci di mangiare carne, anche il macellaio prima o poi chiuderà;
Del professore scolastico, perché finite le scuole dell’obbligo i nostri figli non potranno più studiare;
Della chiesa, perché saremo altre persone che busseranno alla Caritas per chiedere aiuto;
Dei sindaci del comprensorio, perché non potremo più pagare le tasse e saremmo inoltre un ulteriore peso sociale per i comuni;
Del vicino di casa, perché saremmo meno disponibili ed anzi a lui chiediamo scusa, perché persi nella nostra tragedia lavorativa, già da adesso non siamo più predisposti al felice parlare, ma abbassiamo la testa chiudendoci in uno spento buongiorno e buonasera;
Di tutti gli operai, che spesso pensano che non è problema loro, solo perché non ce l’hanno ancora e non pensano che prima o poi toccherà anche a loro, perché la barca sfasciata su cui stanno è la stessa nostra;
Dei sindacati, che trovano differenze tra loro nei confronti di un problema che per noi ha un un’aspettativa sola, la fame. ricordando loro che bianchi rossi o gialli, siamo tutti padri di famiglia e vogliamo solo lavorare.
Degli imprenditori, che magari ascoltandoci un po’ di più, potrebbero averne riscontro in quanto a problemi aziendali e produttivi. Perché il nostro è un mestiere, non un semplice lavoro e lo sappiamo fare anche bene, ma soprattutto, parrà strano, ma abbiamo la coscienza che il benessere dell’azienda è anche il nostro;
Di tutti i soci delle aziende, perché salvando noi, magari un giorno i nostri figli potranno dire ai vostri: ‘tuo padre e tua madre hanno dato all’Italia intera un esempio di grande onestà morale e umanità in momenti di grave difficoltà per altre persone’.
In sintesi chiediamo a tutti, indistintamente da fedi e ideali, di tenderci una mano, in un modo semplice, semplicissimo: Parlate di noi, in modo che tutti sappiano e si possano adoperare in maniera onesta e fattiva a non farci licenziare.
Chiudiamo questa nostra lettera ringraziando tutti, anche coloro che decideranno di dimenticare non appena letto, pensando magari…ma io alla fine lavoro ancora, che me frega!
NO signori, non è cosi perché questo problema frega a tutti o meglio ancora Fregherà tutti! ”.
Ecco, appunto. Parliamone.
Il Fatto Quotidiano, 18 settembre 2013
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