La nostra avventura inizia lì, quando l’autobus di linea, preso al volo a Ubungo, dopo otto ore e un’ulteriore “sosta forzata”, ci scarica a destinazione.
Le perfette indicazioni, mandate a memoria, dicevano che, scesi a Pandambili, ci sarebbe stato un fuoristrada a raccoglierci e a portarci alla meta.
Pandambili si può riassumere così: una serie di case che si affacciano su una strada asfaltata dove camion giganti, quasi in corteo, sfrecciano a velocità impossibili, rendendo un’avventura l’attraversamento.
Ma di veicolo dedicato, nessuna traccia all’orizzonte.
In Africa non serve farsi prendere dal panico, solo pazienza e “hakuna matata”, nessuna preoccupazione e difatti, dopo poco, ecco materializzarsi alle nostre spalle, una nuvola di polvere con un toyota al suo interno.
Fratel Abraham è il nome del “pilota”, subito ribattezzato “fratel Brabham” che, dopo un abbraccio “fraterno”, ci fa salire e a punte di centotrenta, affronta la pista per quei benedetti "ultimi 30 chilometri" finali.
Ed eccoci al cancello del “Centro”.
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