mercoledì 11 febbraio 2015 - Pensieri e parole da condividere
Nella ormai celebre lista di evasori innamorati della Svizzera non si trova traccia di pesci piccoli, smaniosi di sottrarre qualche sommetta alla rapacità dell’erario. I dirottatori di denaro pubblico appartengono tutti alla categoria dei multimiliardari, ai quali i soldi delle tasse non servono affatto. Alcuni casi sono persino schifosi, come quello dell’ex premier socialista (!) Papandreu che di giorno piangeva miseria per il popolo greco e la sera imboscava vagonate di euro in un conto segreto intestato alla madre. Ma in genere questa sfilata di teste coronate e di teste montate si caratterizza per una disponibilità economica superiore a qualsiasi esigenza e, forse, decenza. Se sei un campione di Formula Uno, una rockstar o il padrone del Banco Santander e possiedi mille fantastiliardi, cosa ti cambia lasciarne la metà al fisco? Te ne restano comunque cinquecento, con i quali potrai provvedere ampiamente ai bisogni tuoi e dei tuoi cari per le prossime trentotto generazioni. Il resto lo rimetti in circolo a vantaggio della comunità, per migliorare quei servizi di cui peraltro anche tu fruisci. Non è questione di moralismo, ma di un minimo sindacale di senso civico, oltre che di riconoscenza nei confronti della vita e delle persone meno fortunate di te che, avendoti eletto a loro punto di riferimento, hanno contribuito a renderti ultraricco.
L’avidità è una bestia feroce, specie quando si abbina con la megalomania. Ma nella mia sconsolante ingenuità pensavo che avesse un limite - il centesimo lingotto d’oro, il terzo aereo privato - oltre il quale anche l’accumulatore più accanito intravedesse l’esistenza del prossimo.
La Stampa, 11 febbraio 2015
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