giovedì 13 giugno 2013 - Pensieri e parole da condividere
Duramente provati dalla crisi che non passa, gli italiani stanno guardando agli avvenimenti turchi con una sorta di annoiata indifferenza. Forse siamo provinciali, certo non possiamo dirci molto curiosi di quello che accade al di là delle Alpi e del mare, troppo attenti alle vicende di casa nostra.
Perché occuparci dei disordini di Istanbul? Non ci basta la debolezza della nostra economia che le durissime cifre su produzione e occupazione in Piemonte hanno posto in una luce ancora più preoccupante? In realtà, facciamo male, molto male a non guardare oltre al Bel Paese (o a spingerci, al massimo, fino a Bruxelles). E questo perché la Turchia è molto più importante per l’Italia (e per l’Europa) di quanto normalmente si creda e meriterebbe un po’ più di attenzione e forse anche un po’ più di azione. E questo per almeno tre buoni motivi.
Il primo motivo, di rilevanza immediata, destinato ad aumentare negli anni, è che la Turchia è diventata il corridoio energetico da noi preferito per portare in Italia e in Europa, soprattutto attraverso il gasdotto Nabucco, idrocarburi estratti in Asia, necessari per scaldare le nostre case e far funzionare le nostre industrie.
In un futuro non molto distante, incertezze e incomprensioni con Ankara potrebbero tradursi, almeno indirettamente, in incertezze e anomalie nel flusso dei rifornimenti energetici.
Il secondo motivo deriva dall’importanza sottovalutata della Turchia per l’economia italiana. Al di là della quantità degli scambi commerciali, tendenzialmente in crescita molto forte, è importante la qualità: la Turchia è uno dei pochi Paesi importanti nei quali l’Italia economica conta davvero. Dal settore bancario a quello alimentare, dagli elettrodomestici alle costruzioni la presenza italiana è massiccia e moderna. E’ proprio grazie alla presenza in Turchia che molte imprese medio-grandi italiane respirano l’aria dell’economia globale e del resto sono molto numerose le imprese turche che rientrano nelle filiere produttive italiane alle quali forniscono soprattutto componenti e semilavorati.
Per tutto il Medio Oriente e per buona parte dell’Asia Centrale (dove si parlano spesso lingue dello stesso ceppo di quella turca) è proprio la Turchia il Paese più vicino in cui si fabbricano frigoriferi, televisori, automobili e i normali oggetti di consumo durevole o semidurevole che sono associati alla vita moderna e dal quale possono essere agevolmente importati. Se la Turchia continuerà in futuro a crescere ai tassi degli ultimi anni, essa costituirà una sorta di trampolino per le imprese italiane che vi si sono stabilite.
Il terzo motivo, più dichiaratamente europeo, è che se le difficoltà politiche della Turchia si traducessero in una permanente debolezza finanziaria (la moneta e la borsa turca hanno perso sensibilmente terreno dopo l’inizio degli scontri di piazza) una nuova ondata di incertezza potrebbe colpire di riflesso la finanza della zona euro, nella quale molte banche sono sostanzialmente esposte nei confronti di Istanbul. Sulla strada della definitiva stabilizzazione della moneta europea potrebbe sorgere così un nuovo ostacolo.
Vi è poi un ulteriore motivo, di carattere non economico: la Turchia è l’unico paese al cui governo siedono esponenti di un islam relativamente moderato e sicuramente aperto alla modernità. Il dialogo con questo islam, la messa a punto di qualche legame di tipo culturale, e non semplicemente utilitaristico, appare importante per un’Europa destinata, non foss’altro che per motivi demografici a perdere terreno nel quadro mondiale dei prossimi decenni.
Naturalmente gli avvenimenti turchi ritardano ancora l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea, se mai quest’ingresso ci sarà. Alla crescente tiepidezza, che talvolta si traduce in aperta ostilità, di una buona parte delle forze politiche e dell’opinione pubblica europea si aggiunge ora una mancanza di entusiasmo da parte turca: se così non fosse, la polizia di Erdogan non sarebbe stata così dura nei confronti dei manifestanti di Piazza Taksim e del parco Gezi. L’obiettivo di un rapido ingresso della Turchia nell’Unione Europea è sicuramente spostato in là nel tempo dagli avvenimenti degli ultimi giorni ma questo non significa che qualche forma intermedia di associazione possa essere tentata, in un più vasto orizzonte di dialogo tra i valori europei e quelli dell’Islam moderato.
In termini di distanza geografica, Roma è più vicina a Istanbul che a Londra e a molte capitali dell’Europa settentrionale. Sarebbe già questo un motivo sufficiente perché gli italiani, dedicassero a quanto succede a Istanbul e Ankara un’attenzione non passeggera, magari sottraendo un briciolo di attenzione ai battibecchi tra i grillini e Beppe Grillo, alle polemiche all’interno dei partiti e tanti altri aspetti del teatrino politico nostrano.
La Stampa, 13 giugno 2013
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